venerdì 21 gennaio 2011

LE TRE PIUME n10


Benvenuti nel 2011. Abbiamo una ricorrenza da celebrare:come già ampiamente ricordato nel corso degli ultimi mesi la nostra fanzine compie due anni. Già! Dal gennaio del 2009, tra alti e bassi, superando difficoltà e momenti di smarrimento abbiamo prodotto ben 10 numeri! Quindi raggiungiamo anche la doppia cifra!

Il primo racconto di questo numero è di un simpatico pugliese (che comunque non ho mai incontrato di persona) che per la prima volta pubblica su ‘Le tre piume’. Non credo di esagerare se dico che ‘Io e la mia scimmia’ potrebbe essere eletto come il miglior racconto mai apparso sulle nostre pagine. Pagine ruvide, come ha ribadito lo scimmione protagonista del suddetto racconto! Quindi usatele solo per leggere!!(o quanto di più simile riusciate a fare)

Dopo due mesi ritorno io con una delle mie parodie religiose che a questo punto si inserisce in una trilogia di racconti di questo genere (vedi numeri 4 e 6).

Infine ringrazio i nostri fedeli poeti per il loro prezioso apporto: grazie RK! Grazie corio! E soprattutto grazie a Piè che collabora anche all’impaginazione e alla veste grafica.

Chiudo complimentandomi con Carlotta per le illustrazioni.

Buona lettura!

Guido Micheli detto Fury

Indice

Io e la mia scimmia

Dura la vita del gangster, specialmente se il tuo compare di malefatte è un tantino vizioso e ben poco… umano!

Un racconto di Giuseppe Picciariello

Illustrazione di Carlotta

L’abito fa il monaco

Un prete porcellone, frati goderecci e un cittadino qualunque nel mezzo; travolto da un vortice di distorsioni mistiche e prodigi inimmaginabili.

Un racconto di Guido Micheli

Le poesie del marinaio fottuto

Versi e illustrazioni di RK

Solo pornografia

La rubrica poetica di Piè

Alba di francia

Una poesia di Corio

Disegno di copertina di Carlotta.

DOVE TROVARE LE TRE PIUME

Elenco dei luoghi in cui è possibile reperire la nostra fanzine. Indichiamo anche quali numeri è possibile trovare in ognuno di questi posti.

1)Milano: Libreria del centro sociale COX 18, Via Conchetta.

Numero 3

2)Milano: associazione culturale Elicriso

Via Vigevano 2/A (metro Porta Genova, l’edificio colorato di fronte alla darsena)

Aperti il Giovedì e il Sabato dalle 10.00 alle 19.30.

Numeri 7 e 8

3) Lecco: Caffè Bohèmien Il varco

Via Visconti 55

http://www.bohemiencaffe.it/

E-mail: info@bohemiencaffe.it

Numeri vari

4) Roma: Distro DenyEverithing.

denyeverything.splinder.com

Numeri 4 e 5

5)Forlì: fanzinoteca.

Via E.Curiel 51

www.fanzineitaliane.it

Numeri 7 e 8

6) Ai concerti organizzati dall’associazione culturale Risuono presso il circolo Libero Pensiero

Via Calloni 14, Lecco.



sabato 8 gennaio 2011

L'abito fa il monaco (parte 4 - ultima)


Ci incamminammo verso la frazione più alta della mia cittadina. Fra Jeffrey non smetteva di bere e di tanto in tanto si ricordava di offrire un sorso anche a me. Mentre procedevamo in salita lungo le strade semideserte Fra Jeffrey prese a raccontarmi la storia del suo monastero. I fondori di quel remoto avamposto della fede erano i discepoli di quel San Jeffrey dal quale il mio frate prendeva il nome. Questo santo, prima di essere santo, aveva sfidato l'autorità di un sovrano tanto potente quanto iniquo. Era stato gettato per punizione nelle fogne e condannato a passare il resto della sua esistenza nel buio e nel fetore delle cloache. Ma Dio, vedendo che Jeffrey aveva la stoffa del santo, trasformò lui e i suoi compagni di prigionia in angeli: volarono fuori dalle fogne come un esercito alato, una schiera di guerrieri divini benedetti dal Signore. Davanti al loro celeste fulgore i servi e le guardie del crudele sovrano non poterono più nascondere la loro vera natura ed apparvero per la prima volta sotto le loro vere sembianze: quelle di orrendi demoni. Jeffrey guidò il suo esercito all'attacco e insieme trucidarono i protettori del diabolico oppressore. Solo il sovrano rimase in vita e quando le fulgide spade degli angeli stavano per abbattersi su di lui Jeffrey compì il miracolo: d'un tratto il sovrano perse l'atteggiamento di terribile drago per assumere quello di un pavido agnello. Facile, direte, mostrarsi mansueti per fuggire alla lama! Ma qui sta il vero miracolo, il miracolo che fece di Jeffrey un santo: il crudele sovrano si convertì davvero alla fede cristiana, la sua sottomissione ai vicari di Dio fu autentica, il suo pentimento sincero. Davanti alla figura prostrata di colui che era stato un terribile demonio le ali degli angeli avvizzirono e caddero come foglie secche. Assolta la loro missione quelli che erano stati strumento della vendetta di Dio tornarono ad essere comuni mortali. Tutti tranne uno. Jeffrey rimase un angelo in terra, ma non essendo ancora asceso al cielo, nonostante i suoi grandi poteri, la sua vita terrena era destinata a finire: ciò avvenne molti anni più tardi, quando Satana tornò a minacciare gli uomini. Il demonio si era insinuato nel corpo di un giovane fanciullo e Jeffrey lottò per scacciarlo. Ci riuscì, per fortuna, ma lo sforzo lo logorò talmente che il soffio vitale gli morì sulle labbra ed il suo cuore si fermò per sempre. Il fanciullo che era stato salvato dall'insidia del Diavolo, insieme al parroco della sua comunità, fondò in suo onore il monastero in cui il mio frate viveva. Il racconto di Fra Jeffrey era stato così appassionante che quando ebbe terminato mi stupii di quanta strada avessimo percorso. Ci eravamo ormai allontanati anche dalle ultime case del paese, quelle rustiche abitazioni di pietra che sorgevano al limitare dei boschi, e ormai camminavamo lungo un sentiero che facendosi largo tra gli alberi serpeggiava sempre più impervio su per la montagna. Alla nostra destra le alture formavano una profonda valle a V e davanti a noi si estendevano distese di chiome che l'autunno aveva colorato con pennellate rosse e dorate. In montagna si cammina spesso a testa bassa, per paura di essere traditi dalle insidie dei sentieri sconnessi e sassosi. Così capita spesso che il viandante, alzando la testa, si stupisca del paesaggio che lo circonda. Fu quel che capitò a me quando mi riebbi dal racconto che aveva a lungo assorbito la mia attenzione. Mi sembrò di aver ascoltato il frate per delle ore, e istintivamente mi voltai a controllare quanta strada avessimo percorso: il paese mi apparve piccolo e lontano; potevo a malapena distinguere la chiesa. Il monastero di Orlok sorgeva in fondo ad una stretta valletta. In realtà si trattava di una specie di villaggio. Nel monastero vero e proprio vivevano solo quattro frati, mentre gli altri avevano le loro stanze nelle casette di pietra che sorgevano sull'una e sull'altra sponda del torrente che attraversava la valletta. Io ne contai cinque. Il torrente si attraversava grazie ad uno spartano ponticello di legno, vicino al quale stava il pozzo. Il monastero vero e proprio era costituito da un chiostro quadrato: su di un lato stava il portale d'ingresso, di fronte a questo vi era la chiesa, sulla destra le stanze dei frati e a sinistra un grosso stanzone che serviva da mensa comune. Fui condotto quasi subito in quest'ultimo ambiente, in quanto si avvicinava l'ora di cena. La mensa era rustica come tutto il resto: le pareti erano disadorne tranne che per la presenza di una grossa croce di legno il cui trave orizzontale poggiava su due grandi chiodi arrugginiti che sporgevano dal muro. Al centro della sala vi era una sola tavola ovale, ed io fui invitato a prendervi posto mentre uno dopo l'altro apparivano i frati e la sala si animava di voci, chiacchiere e saluti reciproci. Un frate particolarmente corpulento fece il suo ingresso reggendo un enorme pentolone fumante che pose pesantemente sul tavolo. Fra Jeffrey si mise in piedi ad un vertice dell'ovale e gli altri, sistemandosi intorno alla tavola, fecero silenzio. -Oggi, cari fratelli, ho invitato un amico alla nostra mensa- disse -Si chiama Gabriele e viene da uno dei paesi che sorgono alle pendici delle nostre montagne. Gabriele capita in una data assai particolare perché proprio stanotte ci sarà un'eclissi totale di luna. Coloro che vivono nei grandi centri abitati hanno da tempo perso l'uso dell'osservazione degli astri ed anzi alzano a malapena il naso in contemplazione di un cielo stellato e se interrogati non sapranno dire se la notte successiva ci sarà luna piena, crescente o calante! Ma non chiamava forse San Francesco la Luna sorella? Noi ci siamo rifugiati in un luogo in cui le luci delle città non contaminano il firmamento, e dove le tentazioni della viata mondana non trovano terreno fertile. Seguendo dunque riti altrove dimenticati stanotte usciremo all'aperto armati di mestoli, cucchiai, tegami e pentolacce per far più baccano possibile. Riteniamo infatti che quando la Luna si eclissa enormi demoni volanti insidiano l'astro a noi caro che San Francesco chiamava sorella. Tali demoni, se non vengono prontamente scacciati, potrebbero mangiarsi interi pezzi di luna. Per questo occorre fare più rumore possibile per spaventarli. Ma ora dividiamo equamente la polenta ed il vino, come il nostro signore Gesù ci ha insegnato- -Amen- risposero i frati in coro e subito la mensa fu tutta un muoversi di mestolate di polenta e un versar generose razioni di vino, e un riepir piatti e bicchieri di legno. Lo stupore che mi aveva pervaso nell'apprendere le singolari usanze di questi strani frati si tramutò, brindisi dopo brindisi, in euforia. -Salute!- esclamava quello alla mia destra -Alla Luna!- gli faceva eco un altro alla mia sinistra -All'inferno!- fece un altro dall'altra parte del tavolo. -Come?- chesi io non credendo ai miei orecchi. I frati scoppiarono in una fragorosa ed ebbra risata. -Inferno è il nome del nostro vino- mi spiegò uno -Da tempi immemorabili gli abitanti delle montagne lo chiamano così per via della difficoltà del coltivare e raccogliere l'uva in questi aspri luoghi.- -Ah...- dissi io -Allora... all'inferno!- proclamai, e nel farlo mi sorpresi a sorridere; un sorriso spontaneo come non ne ricordavo altri.

giovedì 6 gennaio 2011

L'abito fa il monaco (parte 3)


Alla festa della parrocchia c'erano tutti quelli che mi sarei aspettato di trovare, tutti i frequentatori dell'oratorio e della chiesa. Non farò nessuno sforzo per tentare di ricordare i loro nomi. Sono nomi che al di là dell'etimologia non significano nulla, proprio come le persone che li portavano addosso. Una sola persona attirò la mia attenzione: era un frate. Vedere un tipo come quello alla festa della parrocchia era strano come vedere un orso bianco all'equatore. Perché quella non era una parrocchia di frati.
-Buonasera fratello, posso sapere come ti chiami?-gli chiesi avvicinandomi goffo ed incuriosito. Sapevo che ai frati piace molto farsi chiamare "fratello" e che si lasciano facilmente dare del tu.
-Fra Jeffrey- mi disse lui voltandosi bruscamente verso di me. A quel punto capii che doveva essere molto ubriaco perché rispondendomi mi investì con un alito dal sentore decisamente alcolico. -Fra Jeffrey- ripetè -Del monastero di Orlok-
Aveva gli occhi lucidi e la bocca stranamente piegata.
-Viene da un monastero?- indagai, dandogli involontariamente del lei -Non ho mai sentito nominare un monastero con quel nome! E cosa ci fa qui alla festa della parrocchia?-
-Cosa ci faccio? Espio i miei peccati, non vedi, frattello?-
-Espia i suoi peccati ubriacandosi?-
-Non darmi del lei. Per noi frati gli uomini sono tutti fratelli- disse mentre provava a riempire il suo bicchiere di plastica con la bottiglia che aveva appena svuotato. -Io sono il fratello Jeffrey-
-Jeffrey... è un nome straniero...- osservai.
-Oh, una volta andava di moda. Cu fu anni fa un santo che porava questo nome.-
San Jeffrey? Io non l'avevo mai sentito. Di sicuro questo frate l'aria del santo non cel'aveva per niente. Aveva preso per sé un'altra bottiglia di vino e stava armeggiando con il cavatappi nel tentativo di aprirla. Fu solo allora che notai quanto fosse logora e sporca la sua tonaca. Era una tonaca diversa da quelle che avevo visto indossare ai pochi frati che mi era capitato di incontrare. Questa era di un marrone più chiaro rispetto alle altre e sembrava fatta di un tessuto più grezzo.
-E dove si trova il tuo monastero, fratello?-
-Il monsatero di Orlok? È su sulle montagne. Non è lontano da qui, ma è difficile da raggiungere. Sentieri impervi, rocce taglienti... L'espiazione è al centro del nostro credo.-
Io non sapevo più cosa chiedergli e restai zitto a guardarlo mentre si riempiva per l'ennesima volta il bicchiere versandosi un po' di vino sull'abito.
-Ti piacerebbe venire a visitare il nostro monastero?- mi chiese allora Fra Jeffrey a bruciapelo. Rimasi un attimo a guardarlo indeciso: il frate teneva il cordiglio della sua veste nella mano sinistra e giochicchiava facendolo roteare. Bevve un gran sorso e poi mi guardò in attesa di risposta. Aveva gli occhi rossi e la bocca stranamente storta, tanto che sembrava sorridere in maniera beffarda. Mi resi conto che quell'uomo mi intrigava.
-Sì- risposi -Mi ci porteresti?-
-Ma certo!- esclamò dandomi una pacca sulla spalla. Si muoveva come un ubriaco da osteria, ma qualcosa mi diceva che valeva la pena di seguirlo.
-Mettiamoci subito in cammino- disse -Dobbiamo arrivare prima che faccia buio. Naturlamlente ci servirà una bottiglia per il viaggio- E così afferrò una bottiglia piena e si diresse a passi svelti verso l'uscita dell'oratorio. Mentre lo seguivo sentivo su di me gli sguardi indiscreti dei fedeli della parrocchia. Ma non ci feci troppo caso. Mi rendevo in qualche modo conto che fino al giorno prima non mi sarei mai sognato di seguire un frate ubriaco che non avevo mai visto in precedenza per asndare ad un monastero dal nome improbabile. Però l'insolita esperienza che avevo vissuto quel giorno, la visione che avevo avuto mentre contemplavo il quadro dell'addolorata, aveva avuto uno strano effetto su di me. Provavo un'insolita curiosità nei confronti di Fra Jeffrey. Mentre abbandonavamo l'oratorio scorsi Don Carlo che se ne stava in disparte, stringendo al petto il messale, fissandomi con aria severa.

L'abito fa il monaco (parte 2)


Quando tornai a casa ero ancora assorto nei miei pensieri. Chiara mi salutò come sempre: -Ciao Gabriele- mi disse. Ma la sua voce mi sembrò diversa. Tutto d'un tratto i suoni e i colori risultavano distinti. "Avrei dovuto parlare con Don Carlo molto prima" pensai.
-Sei pronto per la festa in parrocchia?- mi chiese Chiara.
-Sì, mi sono appena confessato-
-Ma che bravo! E cos'hai detto al Don?-
-Che sei una puttana!- risposo d'istinto.
Lei rise e mi baciò sulla guancia. Ma come? Le avevo dato della puttana e lei ci rideva?
Mentre mia moglie si imbellettava per la festa in parrocchia io presi a percorrere nervosamente il perimetro del soggiorno. Camminavo guardando le piastrelle, girando intorno al tavolino al centro del quale stava una ciotola colma di caramelle e cioccolatini. Ad un tratto mi fermai davanti al grande quadro appeso alla parete, sopra la divano di pelle bianca. Il quadro era una copia de L'addolorata, un antico dipinto. Vi era rappresentata una donna in atteggiamento supplichevole: aveva le mani stretta l'una nell'altra e nel suo petto era piantato un lungo stiletto. Il suo volto era il ritratto stesso del dolore. Era un quadro cruento, per certi versi orrorifico, ma nel fermarmi a osservare i tratti somatici di quella donna non potei fare a meno di coglierne la magnificenza. C'era un che di sublime nel pallore di quel volto, nel pugnale che trafiggeva il cuore dell'addolorata, nella luce che rischiarava la scena. Poi all'improvviso accadde qualcosa di prodigioso. La donna nel quadro si mosse voltandosi verso di me, ed i suoi lineamenti si alterarono, fino a mutare del tutto. Al volto dell'addolorata si sostituì quello di mia moglie. Anche la luce all'interno del dipinto cambiò: il pallido candore s'accese, mia moglie mi fissava sullo sfondo di un lago di sangue che ribolliva, le sue labbra erano petali di una rosa il cui gambo le incorniciava il capo in una corona di spine. Mi sembrò che le fiamme del regno del male illuminassero il soggiorno di casa mia, i petali di rosa si mossero e mia moglie mi parlò dal quadro: -Ti porteò qui con me- mi disse. Io guardai bene il dipinto e mi accorsi che mancava qualcosa: corsi in cucina, aprii un cassetto e presi un grosso coltello. Questo avrebbe fatto le veci dello stiletto del dipinto dell'addolorata. Tornai in frett in soggiorno e fissai con disprezzo la diavolessa che si affacciava da quella specie di finestra sull'aldilà: -Sei finita, lurida meretrice- le dissi vibrando una coltellata violenta e furiosa. Lei si guardò il petto: lo spazio tra i suoi seni era come una valle inondata da un torrente rosso. I petali delle labbra le avvizzirono in volto, lo stelo della sua corona si seccò sul suo capo ed io mi sentii improvvisamente leggero.
-Cosa stai facendo?- strillò Chiara alle mie spalle. Io mi riscossi, come svegliandomu da un sonno poco riposante. Mi ritrovai in piedi davanti al cassetto della cucina aperto.
-Cercavi questo?- mi chiese mia moglie prendendo dal cassetto un coltello e agitandolo davanti a me. -Lo porteremo alla festa- disse -Servirà a tagliare la torta.-

L'abito fa il monaco (parte 1)


Sono sempre stato un buon cattolico. Fin da piccolo andavo a catechismo ed anche in seguito non ho mai trascurato la messa della domenica. Una volta al mese avevo appuntamento col mio confessore, al quale raccontavo i solito tre peccati: ho guardato con lascivia il culo dell'amica di mia moglie, ho preso per il culo a ripetizione il mio collega di lavoro sfigato, non ho detto la preghiera prima di andare a letto. Quella della lascivia, a dire il vero, l'ho imparata più tardi. Ne parlavano in un film che mi è capitato di vedere sulla tv a pagamento: non sapevo che fosse peccato ma quando l'ho saputo sono stato contento d'aver qualcosa di nuovo da raccontare al confessore. La prima volta che glielo dissi, però, mi guardò come se fossi l'incarnazione di Satana. Io allora devo aver assunto un'espressione mortificata perché il prete mi guardò compassionevole -Figliuolo- mi disse -capita a molte, moltissime persone di essere tentate dai desideri della carne. Tra tutti i peccati la lussuria è il più insidioso. Ma ricorda: quella donna, quella che guardi e ingiustamente brami, quella donna è Satana!-
Le parole del prete mi risollevarono "mia moglie se ne va a spasso col diavolo?" pensai "ho sempre saputo che la peccatrice è lei!"
-Mia moglie prende la pillola- confessai allora tra i denti.
-Questo è un grave peccato- mi disse il prete preoccupato. -Le hai mai intimato di non farlo?-
Se non fossi stato accecato dalle visioni diaboliche che le parole del confessore mi avevano ispirato mi sarei ricordato che ero stato io a chiedere a Chiara di prendere la pillola. Ma in quel momento lei era per me la peggiore meretrice dell'inferno e la vedevo indossare biancheria intima sadomaso: mutande in cuoio borchiato, reggiseno che non copriva i capezzoli, e immaginavo che avesse una coda attaccata al coccige con la quale frustava un demone nudo prostrato ai suoi piedi in adorazione.
Il prete dovette notare il mio sguardo smarrito. -So che per te è dicffile da accettare- mi disse -Ma spesso le donne sono deboli e si lasciano sedurre da facili tentazioni-
Uscii dalla chiesa rimuginando sui consigli del mio confessore: avrei dovuto pregare di più e avrei dovuto vigilare su mia moglie. Se prendeva la pillola era molto probabile che fosse adultera. E io dovevo scoprirlo.