giovedì 6 gennaio 2011

L'abito fa il monaco (parte 2)


Quando tornai a casa ero ancora assorto nei miei pensieri. Chiara mi salutò come sempre: -Ciao Gabriele- mi disse. Ma la sua voce mi sembrò diversa. Tutto d'un tratto i suoni e i colori risultavano distinti. "Avrei dovuto parlare con Don Carlo molto prima" pensai.
-Sei pronto per la festa in parrocchia?- mi chiese Chiara.
-Sì, mi sono appena confessato-
-Ma che bravo! E cos'hai detto al Don?-
-Che sei una puttana!- risposo d'istinto.
Lei rise e mi baciò sulla guancia. Ma come? Le avevo dato della puttana e lei ci rideva?
Mentre mia moglie si imbellettava per la festa in parrocchia io presi a percorrere nervosamente il perimetro del soggiorno. Camminavo guardando le piastrelle, girando intorno al tavolino al centro del quale stava una ciotola colma di caramelle e cioccolatini. Ad un tratto mi fermai davanti al grande quadro appeso alla parete, sopra la divano di pelle bianca. Il quadro era una copia de L'addolorata, un antico dipinto. Vi era rappresentata una donna in atteggiamento supplichevole: aveva le mani stretta l'una nell'altra e nel suo petto era piantato un lungo stiletto. Il suo volto era il ritratto stesso del dolore. Era un quadro cruento, per certi versi orrorifico, ma nel fermarmi a osservare i tratti somatici di quella donna non potei fare a meno di coglierne la magnificenza. C'era un che di sublime nel pallore di quel volto, nel pugnale che trafiggeva il cuore dell'addolorata, nella luce che rischiarava la scena. Poi all'improvviso accadde qualcosa di prodigioso. La donna nel quadro si mosse voltandosi verso di me, ed i suoi lineamenti si alterarono, fino a mutare del tutto. Al volto dell'addolorata si sostituì quello di mia moglie. Anche la luce all'interno del dipinto cambiò: il pallido candore s'accese, mia moglie mi fissava sullo sfondo di un lago di sangue che ribolliva, le sue labbra erano petali di una rosa il cui gambo le incorniciava il capo in una corona di spine. Mi sembrò che le fiamme del regno del male illuminassero il soggiorno di casa mia, i petali di rosa si mossero e mia moglie mi parlò dal quadro: -Ti porteò qui con me- mi disse. Io guardai bene il dipinto e mi accorsi che mancava qualcosa: corsi in cucina, aprii un cassetto e presi un grosso coltello. Questo avrebbe fatto le veci dello stiletto del dipinto dell'addolorata. Tornai in frett in soggiorno e fissai con disprezzo la diavolessa che si affacciava da quella specie di finestra sull'aldilà: -Sei finita, lurida meretrice- le dissi vibrando una coltellata violenta e furiosa. Lei si guardò il petto: lo spazio tra i suoi seni era come una valle inondata da un torrente rosso. I petali delle labbra le avvizzirono in volto, lo stelo della sua corona si seccò sul suo capo ed io mi sentii improvvisamente leggero.
-Cosa stai facendo?- strillò Chiara alle mie spalle. Io mi riscossi, come svegliandomu da un sonno poco riposante. Mi ritrovai in piedi davanti al cassetto della cucina aperto.
-Cercavi questo?- mi chiese mia moglie prendendo dal cassetto un coltello e agitandolo davanti a me. -Lo porteremo alla festa- disse -Servirà a tagliare la torta.-

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