giovedì 10 giugno 2010

COBRA prima puntata (di 6)


Ciao a tutti. Visto che domani non avrò tempo anticipo di un giorno la pubblicazione sul blog della prima puntata del mio racconto COBRA. L'illustrazione di questa prima puntata è stata realizzata da Gemma. Settimana prossima pubblicherò la seconda parte (indicativamente il venerdì). Spero vi piaccia!
Guido Micheli.

COBRA


Capitolo I

Era una strana giornata di luglio, un grigio mattino appiccicoso, e Charles Logan era seduto su di una panchina, nell’area d’ imbarco dell’Aeroporto 7 di Milano, in attesa di un volo che non avrebbe mai preso. Il giornale che si era permesso il lusso di comprare diceva che era il 26 luglio del 2078, che c’era stato un colpo di stato in Arabia Saudita, un altro in Cina, ed un terzo in Venezuela.
Ormai l’aereo era divenuto il mezzo di trasporto più utilizzato, le grandi compagnie di volo erano le uniche che riuscissero ad acquistare gli ultimi barili di petrolio estraibili, ed erano le uniche a potersi permettere fonti energetiche alternative valide. All’aeroporto c’era di tutto, gente di ogni etnia e religione, ricchi e poveri, in cravatta e camicia o straccioni, tutti diversi, ma tutti ugualmente scremati, passati ai raggi x e scrutati. Charles Logan si ricordò della lettera che aveva in tasca, piegò il giornale, estrasse la busta e la strappò.

Aldo Paoli si nascondeva dietro un’enorme fumante tazza di caffé lungo, davanti a lui tre monitor, intorno le strette pareti della sua angusta saletta di controllo; i suoi occhi, alienati e fissi, scrutavano ogni cosa. Fu incuriosito dallo sguardo inquieto di un uomo che, alla zona d’imbarco 299, leggeva una lettera gettando di tanto in tanto alcune occhiate furtive di qua o di là, a tradire qualche misterioso senso di colpa. Guardando meglio gli parve di aver già visto quel volto… che si trattasse di un ricercato? Istintivamente allungò la mano destra fin quasi a sfiorare il pulsante rosso che lo avrebbe messo in contatto con gli agenti di sicurezza, ma un pensiero lo arrestò. Allontanò la mano dal pulsante rosso ed impugnò il joystick per il controllo manuale della videocamera. Zoomò sul tabellone degli orari: mancavano quindici minuti alla partenza del volo della zona d’imbarco 299, il che gli dava un po’ di tempo per ulteriori accertamenti. Estrasse il libro delle foto segnaletiche, lo sfogliò velocemente, poi lo ributtò nel ripiano sotto i monitor. Riprese il joystick e provò a zoomare sulla lettera: riuscì a leggere solo poche parole, ma gli bastarono. Fu percorso da un brivido e si sentì sudare; doveva fare qualcosa per fermare quell’uomo, ma cosa? Non poteva certo chiamare le guardie di sicurezza, e non poteva neppure abbandonare il suo posto…

Era la prima volta che Aldo Paoli entrava nell’ufficio del direttore dell’aeroporto 7. Era esattamente quello che ci si poteva aspettare dall’ufficio di un direttore, solo un po’ più in piccolo. Quadri di dubbio gusto adornavano le pareti e uno strano odore aleggiava nel locale: odore di soldi? di ricchezza? di sigaro? Il direttore lo invitò a sedersi. Era un uomo corpulento, sulla sessantina, capelli grigi pettinati all’indietro, forse con un po’ di gel, indossava una giacca verde, una cravatta blu con dei piccoli rombi color porpora e una camicia bianca con sottili righe azzurre verticali.
Aldo era secco, aveva il naso lungo e quel giorno non aveva avuto il tempo di farsi la barba.
-Abbiamo riscontrato un accenno di comportamento anomalo da parte sua, signor Paoli-
-Cosa?-
-Lei è al corrente del fatto che ci sia una videocamera anche nella sua sala di controllo, come in tutte le altre sale di controllo, non è così?-
-Sì, certo signore-
-Per controllare chi controlla, mi capisce?-
-Perfettamente-
-Il concetto è semplice: se non si è sicuri del retto comportamento di chi dovrebbe vigilare e garantire la sicurezza di tutti, allora non c’è più nessun tipo di sicurezza, non è così?-
-Certo signore, il retto… la sicurezza-
-Ora, signor Paoli, noi sappiamo che oggi, alle 14.15, lei ha mosso la mano per chiamare gli uomini della sicurezza col pulsante rosso, ma si è fermato. Ha consultato l’album delle foto segnaletiche, ha zoomato su alcuni particolari e ha fatto tutto questo mostrando evidenti segni di agitazione, ho qui il referto psicologico. Mi può spiegare cos’è accaduto?-
-Credevo di aver riconosciuto un ricercato, signore. Signore, io ci tengo al mio lavoro-
Il direttore sospirò con aria stanca.
-La terremo d’occhio- disse sprofondando sulla poltrona -ora può tornare al lavoro-
-Il mio turno è finito, signore-
-Allora vada a casa, arrivederci-

Aldo Paoli uscì dall’aeroporto e si trovò di fronte il solito spettacolo: quello che era stato un parcheggio era ora una distesa di carcasse di automobili arrugginite, mezze smontate. Tra un’automobile e l’altra gruppi di persone si facevano largo a piedi trascinando valige, borse, fagotti, sacchetti di plastica e scatole di cartone. Aldo tolse la catena che assicurava la sua bici alla rastrelliera del parcheggio per dipendenti, salutò il guardiano e, montato in sella, si dileguò tra le macchine ferme e la gente che procedeva in senso opposto. Pedalò conducendo la bicicletta automaticamente, senza pensare alla strada ma ripassando a memoria i tratti somatici di
quell’ uomo, l’uomo che aveva visto all’aeroporto.

Si era consultato con Filtro, il secondo cervello dell’organizzazione, l’uomo del quale, per motivi di sicurezza, era meglio che nessuno conoscesse il vero nome. Filtro gli aveva detto che anche se la persona che aveva creduto di riconoscere all’aeroporto era partita, bisognava presentarsi all’appuntamento. “Non si sa mai” disse “magari ha deciso di tornare indietro, oppure hai riconosciuto la persona sbagliata…”
Così Aldo Paoli si recò all’ora stabilita nel luogo fissato per l’incontro. Come da abitudine cercò di essere sul posto con un paio di minuti di anticipo, si fermò davanti alla vecchia entrata del metro e si rollò una sigaretta. Mentre fumava il suo sguardo correva impaziente scrutando i volti e gli atteggiamenti dei passanti. Quello che era stato, fino ad una cinquantina d’anni prima, un incrocio trafficato, era ora attraversato solo da qualche automobile a elettricità solare, alcune biciclette, e pedoni. Una manciata di sbirri presidiavano il crocicchio, in posa come per una fotografia su un giornale sadomaso, col manganello in vista quasi fosse il loro maggior simbolo di virilità. A un semaforo in disuso era stata rimossa la parte superiore e qualcuno, al posto delle luci, aveva messo una grossa testa di plastica, una testa dal ghigno inquietante, col naso grosso e adunco, coi capelli lunghi ma radi… somigliava un po’ a quel vecchio regista, come si chiamava?
-Dario Argento?-
Aldo sobbalzò. Accanto a lui era apparso Logan, Charles Logan.
-Dovevo essere io ad avvicinarti, non era scritto così nella lettera?- fece Aldo stupito
-Sì ma ora che ti aspettavo si sarebbe fatta notte, e poi davi troppo nell’occhio. Molto bella la parola d’ordine, anche a me piace il cinema-
-Sì ehm… Filtro ha tutti i suoi film a casa-

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