venerdì 18 giugno 2010

COBRA seconda puntata (di 6)


Come promesso ecco che puntualmente inserisco la seconda puntata illustrata del mio racconto COBRA ! Ricordo che le puntate in tutto sono sei e che ne pubblico una sul blog ogni venerdì (o giovedì o sabato a seconda di impegni/disguidi/distrazioni). L'illustratore della settimana è il bravissimo Stefano Parola. Potete contattarlo al seguente indirizzo e-mail: stword@virgilio.it

Capitolo II

La base dell’organizzazione non poteva essere altro che uno sporco scantinato ammuffito; Charles Logan ebbe subito l’impressione di essersi messo in combutta con degli uomini appartenenti a un gradino inferiore della scala evolutiva. Dovete sapere che Logan era piuttosto, come dire, pieno di sé. Si credeva un duro, una specie di detective privato di quei vecchi film che tanto lo affascinavano. Portava un lungo impermeabile beige, come se il caldo non lo toccasse, un cappello dello stesso colore e scarpe di pelle nera. Aldo si era subito lasciato intimorire dalla personalità di Logan ma Filtro non era il tipo da farsi mettere i piedi in testa. Se ne stava seduto dietro una scrivania che era stata la cattedra di una classe delle scuole elementari del quartiere, fumava l’immancabile sigaretta dalla quale derivava il suo nome; intorno a lui vecchi mobili di metallo arrugginiti e cumuli di cianfrusaglie.
-Siediti- disse a Logan accennando alla sedia posta di fronte a lui. La sedia era a misura di bambino ma Logan era molto alto e il suo busto si ergeva al di sopra del bordo della scrivania.
-L’edificio soprastante era una scuola elementare, quasi tutto quello che abbiamo proviene da lì-
-Lo vedo- fece Logan contrariato, guardando in basso alla sedia che gli era toccata e cercando di mettersi comodo.
-Anche i fogli che abbiamo usato per scriverti… ce ne sono un sacco abbandonati negli armadietti e nelle scrivanie della vecchia scuola. La carta è la nostra unica vera ricchezza-
Aldo se ne stava in piedi in disparte, osservando la scena.
-Voglio essere franco con te- disse Filtro sputando fumo -La nostra organizzazione è giovane, molto giovane, ma seria. Se sei qui è perché ti è arrivata la lettera e hai deciso di arrischiarti a venire, se ti è arrivata la lettera è perché, come ti abbiamo scritto, sei stato osservato e ritenuto idoneo… non contattiamo cani e porci noi…-
Logan emise una specie di grugnito
-Finora i membri dell’organizzazione sono tre: io, Aldo e Cobra. Tu saresti il quarto. L’associazione non ha nome, non serve, deve essere irriconoscibile, dobbiamo essere dei fantasmi negli ingranaggi del sistema. Cobra è il fondatore dell’organizzazione, è l’unico capo, tutti gli altri sono uguali. Non siamo nostalgici di vecchie ideologie politiche, siamo pressoché anarchici, siamo per l’uguaglianza e l’assenza di controllo, siamo contro le gerarchie. Se Cobra è il capo è perché ha degli indiscutibili… diciamo… poteri. Non è un vero capo in effetti, è più che altro un mentore.-
Filtro pronunciava certe parole con una certa enfasi, infervorandosi e aspirando il fumo più forte. Smise di parlare, osservò il mozzicone di sigaretta che aveva in mano e prese a schiacciarlo con violenza nel portacenere, rigirandolo e torcendolo.
-Vediamo ‘sto Cobra- fece allora Logan alzandosi.
-Già- disse Filtro -Andiamo a trovare Cobra-
Fece cenno ad Aldo di seguirli e scese lungo una scala che portava ad una parte ancora più bassa della cantina. Lì sotto il soffitto era basso e Logan doveva chinare leggermente la testa per starci tutto. La cosa che più lo sorprese, tuttavia, fu lo strano ambiente, la strana aria che si respirava laggiù. L’atmosfera era pregna d’umidità e di fumi d’incenso, il luogo era buio, illuminato solo da alcune candele. “Cazzo” pensò Logan “sono stato agganciato da tre aspiranti stregoni”.
Cobra era un negro dalla faccia avvizzita ma era impossibile definire se a devastare la pelle del suo volto fosse stata la vecchiaia, un’ustione, o una violenta forma acneica. Aveva una folta chioma stile afro e portava un paio d’occhiali scuri. Sedeva dietro un tavolo di pietra e sul tavolo vi era un una fanciulla, nera anch’essa, che aveva la gonna alzata e le gambe aperte, non portava mutande.
-Non guardarla troppo- sussurrò Filtro all’orecchio di Logan –Quella è sua figlia-
Logan inarcò le sopracciglia e mosse due o tre volte il labbro superiore con dei rapidi guizzi di nervosismo. Cobra parlò:
-Hai accettato di arrivare fin qua, nella tana del Cobra. Significa che da ora in poi dovrai essere fedele al Cobra, o il Cobra ti darà la caccia. Il Cobra è svelto e velenoso, ricordalo, il Cobra non lascia scampo. Ora tu firmerai un documento, che ti legherà per sempre a me; sarai servo del serpente, ma non sarai più schiavo della corruzione umana-
Cobra estrasse un foglio ingiallito ed una lunga penna d’uccello, insinuò la mano tra le cosce della fanciulla che stava sul tavolo ed estrasse la penna intinta di sangue mestruale. Poi la porse a Logan.
-Che schifo!- urlò Charles Logan arretrando d’un passo –Voi siete matti! Folli! Me ne vado da qui!-
Filtro l’afferrò dal dietro stringendogli il collo e puntandogli la punta di un coltello a pochi centimetri dall’occhio sinistro. Anche se era un ragazzo robusto Filtro era molto più basso di Logan ed afferrandolo in quel modo si era messo in una posizione scomoda. Logan lo colpì con una gomitata e nel frattempo gli torse il braccio. Fuggì su per la scala dalla quale era venuto, sotto lo sguardo spaventato di Aldo Paoli, e in meno di trenta secondi era già in strada. Pensava di essersi tolto dai guai, ma si sbagliava.
Tornò al suo appartamento e lì rimase, pensando a cosa lo avesse portato ad abbandonare l’aeroporto pochi minuti prima della partenza del volo, sgattaiolando fuori dalla zona d’imbarco come un fuggiasco, inventando una poco probabile scusa su un certo bagaglio dimenticato nell’area del check in con la guardia che lo aveva fermato. Riprese quel giornale di tre giorni prima, quello che stava leggendo prima che gli venisse in mente di aprire la lettera che quei matti perversi gli avevano inviato, cercando degli indizi negli avvenimenti di quel giorno, pensando che forse era qualcosa che aveva letto sul quotidiano a far scattare in lui la molla della dissidenza. Perché di quello si trattava: dissidenza. La lettera parlava chiaro; un gruppo clandestino animato da un imprecisato spirito rivoluzionario. Logan ne era stato attratto perché quelle parole lo avevano risvegliato da quel marciume interiore che lo aveva logorato negli ultimi anni. Il marciume. Aveva iniziato a sentirsi imputridire con la società che lo circondava, aveva iniziato a rendersi conto delle brutture del mondo, della politica, della sua nazione, e aveva iniziato a sentirsi trascinato in esse, con esse, da esse, in uno strano, putrido vortice fatto di azioni stantie, vuote, virtuali. Aveva avuto la coscienza di tenere una sorta di diario, uno scrap book, un quaderno di ritagli di giornali dove collezionava tutti gli articoli che gli facessero pensare al mondo in cambiamento, e quasi quotidianamente annotava sul suo quaderno, di fianco agli articoli, appunti della sua vita personale, appunti della sua esistenza in divenire. Era così che si era reso conto di come la sua nazione fosse precipitata in uno stato di dittatura, e la cosa gli era sembrata spaventosa e interessante. I leader avevano preso le distanze dai vecchi regimi, non avevano compiuto azioni eclatanti, colpi di stato o azioni di forza visibili. No, si erano invece insediati silenziosamente, subdoli, e gradualmente. Avevano cominciato con l’utilizzo dell’esercito per motivi di sicurezza, dopo aver inculcato nei cittadini l’ossessione dell’emergenza criminalità, e così di limitazione in limitazione, di controllo in controllo, si era arrivati al punto in cui ogni restrizione della libertà personale, anche la più pesante forma di coercizione fisica e intellettuale, erano tollerate. La testimonianza ultima stava nei più recenti articoli di giornale che aveva ritagliato: pian piano, mentre la carta diventava un bene sempre più raro, i giornali “scomodi” sparivano e quelli che sopravvivevano si riempivano di inni alla nazione, prorompevano in lodi in favore di un benessere inesistente. Più che di giornalismo si trattava di propaganda. Logan era un uomo solo e consapevole. Si ricordò del perché stava partendo, tre giorni prima: voleva andare a Roma, la città eterna, e cercarsi un nuovo lavoro, cambiare aria. Si connesse alla rete e comprò un nuovo biglietto, il primo volo per la capitale, che partiva di lì a tre ore. Rifece in fretta la valigia che aveva solo parzialmente disfatto e uscì dall’appartamento. Arrivato al piano terra il portinaio lo chiamò per nome:
-Signor Logan!- disse.
Con lui c’erano due uomini robusti e ben vestiti. Logan fece il sordo e tirò dritto.
-Signor Logan!- fece il portinaio alzando la voce. I due uomini lo seguirono e lo fermarono con le cattive, afferrandolo per le braccia, facendogli cadere la valigia.
-Polizia- disse uno mostrandogli un distintivo
-Deve venire con noi- fece l’altro
Logan non oppose resistenza, era stanco. Lo caricarono su di un’automobile grigia, una BMW. “Ecco un’altra differenza” pensò “Il nuovo regime non bada all’autarchia”
Per le strade semideserte la potente automobile procedeva veloce, erano anni che Logan non saliva su una macchina, e sentì un certo mal d’auto.
Alla centrale gli chiesero perché tre giorni prima non aveva preso il volo che aveva prenotato, cosa c’era scritto sulla lettera che aveva letto all’aeroporto, con chi si era incontrato quel giorno. Logan fece il muto, e fu rilasciato dopo poche ore con un documento che gli impediva di lasciare la città per un mese.


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