venerdì 25 giugno 2010

COBRA terza puntata (di 6)
























Come ogni settimana, di venerdì, pubblico una puntata del racconto Cobra.
Illustrazione di Stefano Parola!
Buona lettura!


Capitolo III

Quando Charles Logan si era divincolato da Filtro ed era filato fuori dal Covo dell’organizzazione Aldo Paoli era rimasto immobile, Cobra aveva osservato attentamente e preso nota e Sheena, la figlia di Cobra, quella che se ne stava a gambe aperte sul tavolo di pietra, beh , lei era sotto l’effetto di alcune pozioni che suo padre le aveva somministrato. Filtro non sapeva come reagire; gli faceva male il braccio, aveva preso una gomitata nel costato ed era incerto tra due attitudini. Uno: sentirsi umiliato per non essere stato in grado di trattenere Logan, e dover quindi cercare le parole per chiedere scusa a Cobra, magari ostentando un atteggiamento di sottomissione. Due: biasimare Cobra per non essere stato ancora in grado di trovare qualcuno a cui importasse della loro causa. Così se ne stava piegato reggendosi il braccio e facendo smorfie simulando più dolore di quanto in realtà ne provasse. Fu Cobra a togliere tutti d’impiccio.
-Quell’uomo può esserci utile- disse –Sheena, ti va di sedurlo?-
Sheena se ne stava ancora a gambe aperte con rivoli di sangue mestruale che le colavano tra le cosce. Stava appoggiata sui palmi e teneva la schiena inarcata facendo ciondolare la testa e i lunghi capelli ricci all’indietro.
-Sìììììììì- disse infine sibilando –Mi piaaaaceee-
Cobra le porse due specie di mezzi gusci di cocco, pieni di un paio dei suoi intrugli. Sheena trangugiò tutto in un sorso. Poi le diede due buste d’erba. Lei le nascose nelle reggiseno e scese dal tavolo.
-Ciaooo- disse mentre se ne andava sculettando, già pregustando il compito che suo padre le aveva dato.
Era pomeriggio inoltrato, gli asfalti erano caldi, l’aria era afosa. Sheena portava un paio di scarpe col tacco bianche, aperte, coi lacci. Una gonna corta, una canottierina coi pizzi, un reggiseno troppo piccolo per le sue tette da quarta, e… niente mutande. Le droghe che suo padre le somministrava la facevano sentire leggera, facevano sembrare tutto più interessante, più divertente. Guardava i passanti e le sembravano tutti usciti da qualche opera d’arte, e se li sarebbe scopati tutti. Passò davanti a un manipolo di militari in pattuglia; la guardarono con fare tra il sorpreso e l’ammirato, uno di loro mosse anche un passo verso di lei, accennando ad un gesto di alt, ma s’arrestò. Passò davanti a un gruppo di cinque o sei uomini che venivano dispersi da due poliziotti accorsi di gran carriera apposta per loro, per pungolarli coi loro manganelli a scossa elettrica come fossero capi di bestiame, e come mucche mansuete questi se ne andarono in diverse direzioni, e le loro timide lamentele suonavano come i sommessi muggiti di un gruppetto di vacche dagli occhi vitrei che ciondolano le pesanti teste per la rassegnazione. I poliziotti risalirono in macchina in attesa che un’altra delle migliaia di migliaia di telecamere sparse per la città gli segnalasse un altro gruppo di poveracci da disperdere con le cattive.
Sheena dovette ricontrollare più volte il biglietto con l’indirizzo di Logan, ma infine riuscì a giungere al suo palazzo. Il portinaio la squadrò da capo a piedi, e s’affrettò a interrogarla.
-Come si chiama, signorina? E dove sta andando?-
Per fermarla le mise una mano sulla spalla. Bastò quel leggero contatto a scatenare gli effetti delle sostanze che Cobra le aveva fatto ingoiare. Istintivamente mise una mano sulla natica del portinaio e poi, suadente, la mosse fino ad avvicinarsi alla zona pubica. Il portinaio rimase di sasso, notò il rivolo di sangue che le scendeva lungo la pelle scura della gamba, ma non gli riuscì di dire altro.
-Charles Logan- gli sussurrò Sheena, allungando la lingua nel pronunciare la elle fino a sfiorargli l’orecchio, e intanto gli si fece contro, strusciandosi e cercando a tastoni la cerniera dei sui pantaloni. Il portinaio era sul punto di lasciarsi andare quando, d’improvviso, si ricordò della telecamera che vigilava la hall d’ingresso. La spinse via e le intimò di andarsene. Questo risvegliò il lato violento di Sheena, un altro degli istinti animali che le droghe di Cobra riuscivano a sublimare. Afferrò il portinaio per il colletto e sbattendolo contro la vetrata della portineria gli piantò addosso uno sguardo felino, avvicinò il suo volto ad un centimetro dal naso di lui e tornò a sibilare quel nome, ma con vena più aggressiva.
-Charles Logan- disse soffiando
-Sono qui- fece Logan materializzatosi sulla soglia della hall d’ingresso. Aveva riconosciuto subito Sheena ed il suo primo istinto era stato quello di mandarla via in malo modo. Ma vedendo il suo profondo ansimare, il profondo su e giù dei suoi grossi seni che accompagnava ogni suo respiro, cambiò idea. La prese per mano e, prima di sparire con lei dietro la porta dell’ascensore, lanciò un brutto sguardo al portinaio.
L’appartamento di Logan era piccolo e disordinato; non appena vi mise piede Sheena si sentì pervasa da un senso di disagio e sentì la necessità di conversare con calma. Per fortuna aveva con lei ciò di cui c’era bisogno. Si sedettero sul letto, misero nel vecchio lettore cd un album di musica reggae, ed arrotolarono una canna.
-Mio padre mi usa- disse Sheena dopo alcuni lunghi minuti di silenzio –e a me, finora, è sempre piaciuto farmi usare. Mi piacciono le droghe che mi dà. Vedi, lui è una specie di stregone. La mia famiglia discende dalla comunità caraibica che da un paio di generazioni si è impiantata in città: i miei nonni erano di Haiti e di Trinidad. In quei luoghi la gente si tramanda antichi riti, è normale che qui gente come mio padre dia fuori di matto. Lui è stato ripudiato dai suoi stessi consanguinei, accusato di essere sodomita e pederasta-
-Cazzo- fece Logan prendendo la canna dalla mano di Sheena –E ‘sta storia dell’organizzazione sovversiva?-
-Una sua follia-
-Ma non ha tutti i torti-
-Non li ha, ma è matto lo stesso-
-E tu? Te ne stavi a gambe aperte sul suo tavolo, a farti infilare una penna tra le cosce. Non venirmi a dire che questo è un comportamento normale…-
-Tu non hai mai provato le sue pozioni- disse Sheena –Ti assicuro che hanno l’effetto di far sembrare tutto assolutamente spassoso-
-Spassoso…-
-Sì, provare per credere-
-Quindi non credi nella lotta rivoluzionaria di tuo padre…-
-Ci credo, quando sono drogata-
-Cioè, non ci credi. Normalmente non ci credi-
-Il punto è che normalmente io sono drogata. Lo sono anche adesso-
Logan scosse la testa –E cosa volete da me?- chiese
-Collaborazione-
-Per cosa?-
-Questo devi chiederlo a mio padre-
Logan continuava a credere di aver a che fare con una squilibrata, una squilibrata che però gli andava a genio, forse per via di quel paio di tette…
Sheena si addormentò sul suo letto e Logan si riempì un bicchiere di whisky con due cubetti di ghiaccio che però gli diede subito un bruciore allo stomaco. Mente tentava di mandar giù il suo drink guardava fuori dalla finestra del suo angusto monolocale, guardava alla distesa di palazzi spettrali, sentiva il silenzio, e grosse gocce di sudore gli colavano lungo la fonte ed il collo. Tentava di dare un senso ai frammenti d’immagini e parole che popolavano il suo scrap book, il suo album dei ritagli mentale di quegli ultimi giorni. Ebbe un certo sentore di essere prossimo ad un epilogo.

continua venerdì prossimo.....

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