venerdì 31 dicembre 2010

2010: tiriamo le somme


Oggi è l'ultimo giorno dell'ultimo anno del primo decennio del nuovo millennio. Forte, no? Cosa mi ricordo, cosa ci ricorderemo, del 2010 e di questi prima decade del XXI secolo?. Quest'anno il nostro presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è stato giudicato colpevole di corruzione nell'ambito del caso Mills, ma non è finito in carcere perché il suo processo era andato in prescrizione. Questo grazie alle leggi sui "processi brevi" che dovrebbero rendere la giustizia italiana più efficente. Un paese normale sarebbe sbiancato: abbiamo un crimilale al governo? Mio Dio! L'Italia no, l'Italia non ha fatto una piega. Intanto Berlusconi è stato indagato per concussione, ma non si è degnato di farsi vedere in tribulale perché aveva altro da fare. Però il tempo per intrattenersi con le prostitute l'ha trovato... nulla di troppo disdicevole... ma allora non potrebbe legalizzare e regolamentare la prostituzine così che tutti si possano trastullare come lui? Nel 2008 Berlusconi ne aveva pensata una grossa: l'immunità per le quattro più alte cariche dello stato: il presidente del consiglio (cioè lui) i due presidenti delle camere ed il presidente della repubblica. Immunità uguale: qualsiasi cosa io abbia fatto, qualsiasi reato io abbia commesso, non posso essere processato. Piuttosto contrario non solo alla costituzione, ma anche a qualsiasi logica di convivenza civile! Per fortuna la corte costituzionale ha trovato questa legge illegittima, e l'ha cancellata nel 2009. Ci è voluto un anno! Nel frattempo i tempi della prescrizione per il processo Mills scorrevano. Il Cavaliere ha anche osato dire che i giudici della corte costituzionale sono comunisti, nonostante un paio di loro si fossero trattenuti a cena in una delle sue ville e ben sei su quindici avessero votato a favore dell'immunità, nonostante la palese incostituzionalità della legge. La cosa preoccupoante è che la metà degli italiani crede a Berlusconi, grazie a un metodico lavoro di lavaggio del cervello portato avanti per anni dal presidente e dai mezzi di comunicazione che lavorano per lui. Abbiamo sentito così spesso la parola "comunisti" pronunciata come fosse un insulto che ormai la consideriamo davvero vilipendiosa. È violenza mentale quella di Berlusconi e dei suoi, come quella descritta in 1984 di Orwell. Nel frattempo, sempre nel 2009, un terremoto devasta la città dell' Aquila, uccidendo molte persone. Le autorità e la protezione civile prendono in mano la situazione e cosa fanno? Nulla. I dati e le poche testimonianze credibili che oltepassano la cortina di fumo innalzata dal mass media ci dicono che sono state rimosse più macerie dalle mani nude e dalle carriole dei cittadini dell'Aquila nei primissimi giorni successivi al sisma che dalla protezione civile in un anno. Berlusconi si vanta di aver ricostruito L'Aquila, ma in realtà le autorità hanno solo installato alcuni conteiner e case prefabbricate fuori dalla città. Anche sulla situazione dei rifiuti nelle strade di Napoli il presidente del consiglio ha mentito ripetutamente, dicendo almeno una volta al mese che l'emergenza era risolta.
In estate l'Italia sogna coi mondiali di calcio. Dopo il successo del 2006, però, il campionato del mondo del Sudafrica riserva una brutta batosta agli azzurri e alle migliaia di tifosi che si incollano alla televisione armati di Peroni e Morettoni. La nostra nazionale non vince neanche una partita e non supera nemmeno il girone eliminatorio. Come sembrano lontane le immagini di Prodi che esulta come un bambino paffuto di fianco all'amichetta bionda un un po' arrabbiata dopo il secondo gol dell'Italia alla Germania! Ora Prodi non c'è più e sulle tribune non festeggia proprio nessuno.
Ma il 2010 è stato soprattutto l'anno dei tagli. L'ultimo, il più meschino, il taglio del cinque per mille alla ricerca: non ci saranno più fondi per cercare di combattere malattie croniche e moratali che affliggono migliaia di Italiani. Poi ci sono stati tagli allo spettacolo e all'editoria, in un contesto in cui questi settori erano già bisognosi di aiuti. Il 2010 si chiude con l'indegno spettacolo offerto dalla camera con il voto alla sfiducia al governo: sfiducia che non passa perché il solito Berlusconi si compra un po' di parlamentari con promesse e ricatti. Si apre un'altra inchiesta per corruzione. Tutto questo mentre le città esplodono della rabbia di studenti e precari. La riforma Gelmini viene approvata si fa un passo avanti verso la privatizzazione dell'istruzione.
Buon 2011

lunedì 22 novembre 2010


Giovedì 25 novembre
NELL'AMBITO DELLE INIZIATIVE ORGANIZZATE PER CELEBRARE I 60 ANNI DI ATTIVITÀ DEL CIRCOLO

LIBERO PENSIERO (LECCO) RACCONTI IRRIVERENTI, PAROLE TAGLIENTI



racconti di GUIDO MICHELI chitarra elettrica di DINIZ versi e musica incivili dei C.P.T.

A partire dalle ore 21.00
Nella sala concerti del circolo Libero Pensiero, in Via Calloni 14, a Lecco.

mercoledì 3 novembre 2010

AMMAZZATE QUEST'UOMO


Ve lo dico subito, la mia squadra preferita è l'Inter. Ma il calcio mi piace soprattutto come sport, e al di là di tifoserie e rivalità devo dire che l'atteggiamento tenuto da Cristiano Ronaldo nella partita di questa sera tra Milan e Real Madrid mi ha veramente fatto incazzare. Ancora una volta, ma più che ogni altra volta. Verso la mezz'ora di gioco il difensore rossonero Abate, incaricato di marcare il portoghese, smanaccia vistosamente toccandolo sul collo. Nulla di grave, si capisce subito. Ma Cristiano Ronaldo si porta le mani al volto come se avesse ricevuto il gancio di un pugile, si butta per terra (a gioco fermo) e, come se non bastasse, di fronte alle proteste dei rossoneri (Gattuso in prima linea) si arrabbia e strilla con quell'espressione da bambino al quale hanno sottratto il lecca-lecca che gli è caratteristica. Passano pochi minuti, altro duello con Abate. Il difensore del Milan va a terra e Cristiano Ronaldo gli calpesta l'interno coscia con gran disinvoltura, tirando poi dritto senza degnare di uno sguardo l'avversario dolorante. Stavolta nessuna protesta dei rossoneri. Secondo tempo. Sull' uno a zero per il Real Madrid Cristiano Ronaldo rincorre un pallone presso la linea laterale, Abate lo bracca da dietro facendo attenzione a non commettere fallo, ma forse lo sfiora e l'attaccante del Real pensa bene di gettarsi a terra simulando un grande dolore. Il gioco continua. Quando l'azione finisce l'arbitro va verso Abate e lo ammonisce. Stupisce che un direttore di gara esperto come Webb si faccia trarre in inganno da un ragazzino viziato come C. Ronaldo. Ma fa ancora più rabbia vedere il giocatore del Real alzare spudoratamente entrambi i pollici in segno di approvazione e fare una smorfia che sembra significare "eh beh, un cartellino giallo era il minimo..." Sì, per lui, non per Abate.
Così anche se sono interista sono molto contento quando Inzaghi entra in campo e segna due gol, portando in vantaggio il Milan. Ecco, Inzaghi. Un altro che è famoso per le sue simulazini. Ma c'è una sostanziale differenza tra le cadute degli attaccanti italiani che si lasciano andare a terra per ottenere un calcio di punizione e gli atteggiamenti strafottenti, odiosi ed arroganti di Cristiano Ronaldo che si lamenta come una checca isterica dal primo minuto all'ultimo, che finge di essersi fatto male anche quando il gioco è fermo o quando la palla è persa per il gusto di vedere il difensore avversario punito con un cartellino ingiusto. Se giustamente ci si lamenta in tutto il mondo della poco onesta furbizia italica perché nessuno fa notare la spudorata malignità di questo finocchio portoghese?


Per la cronaca: la partita poi è finita 2-2. Inzaghi ha battuto il record di gol segnati nelle competizioni europee, anche se il secondo di stasera era in fuiri gioco.

domenica 24 ottobre 2010

SBATTEZZO


Domani, 25 ottobre è la giornata nazionale dello sbattezzo. Sbattezzarsi significa non risultare più membri ufficiali della chiesa cattolica. Oggi ho scaricato dal sito internet www.uaar.it (Unione Atei Agnostici Razionalisti) il modulo per lo sbattezzo; tale modulo va compilato e spedito alla chiesa parrocchiale in cui si è stati battezzati. Io credo che lo spedirò. Non vedo perché dovrei continuare a risultare cattolico quando invece nutro antipatia nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche.
Riconosco che è un bisogno dell'uomo avree delle guide spirituali e porsi domande trascendentali. Ma questo non giustifica l'adesione alla Chiesa come istituzione, anche perché la maggior parte dei cattolici sono tali solo per consuetudine, e non per convinzione.
Da secoli la chiesa cattolica ostacola il progresso della scienza, danneggia la vita culturale degli uomino con campagne censoree, si arroga il diritto di farsi custode della morale comune. Le alte sfere ecclesiastiche hanno col tempo costruito un impero economico sulle spalle dei fedeli, sono scappate alle tasse sui beni immobili, hanno fondato banche e usufruito di agevolazioni inammissibili
in uno stato laico in come l'Italia in cui tutte le religioni dovrebbero avere pari diritti.
Uomini vergini o presunti tali pretendono di insegnare alle coppie i principi della vita coniugale, ci mettono in guardia dall'uso del preservativo e guardano senza batter ciglio migliaia di persone morire di malattie sessualmente trasmesse. E poi, correggetemi se sbaglio, ma credo che all'interno dei testicoli avvenga naturalmente un ricambio degli spermatozoi, per cui anche senza masturbarsi o fare sesso questi muoiono e vengono espulsi comunque. È uno dei tanti casi in cui la religione cattolica si intestardisce su basi ascientifiche...
Vogliamo parlare della commercializzazione dei simboli cattolici (statuine di padre pio e gadgets vari) ? In totale contrasto con l'idea di austerità insegnata nei vangeli. Le alte sfere cattoliche da secoli contraddicono coi loro comportamenti quel che il loro stesso testo sacro insegna.
Il purgatorio? Un'invenzione medievale per vendere più indulgenze.
Di tutte queste contraddizioni si erano già accorti erasmisti e luterani nel XVI secolo.
Basta aprire un libri di storia per capire quanto la religione cattolica sia basata su falsità e contraddizioni.

E Caronte chiese all'anima del vescovo che veniva all'Ade:
"E così se fosse venuto Gesù Cristo a mangiare con te, tu non l'avresti lasciato sedere alla tua tavola perché era povero?"
Rispose il vescovo:
"No, se fosse venuto mal vestito"
Da Diálogo de Mercurio y Carón, Alfonso de Valdés, 1529.
(La traduzione è mia).

mercoledì 22 settembre 2010

DJ SET BY DJ FURY, il dj del rock marcio


Ciao a tutti. Per la prima volta sul blog mi faccio un po' di pubblicità come dj. Non sono di certo quel che si potrebbe definire un dj professionale, infatti la mia attrezzatura è molto rudimentale ed io sono all'inizio della mia esperinza di maneggiatore di mixer e vinili. Però se volete ascoltare un po' di rock bello incazzato venite al mio prossimo dj set che si terrà presso il Bar Saudadé in via S.G.Bosco a Mandello del Lario (la cittadina in cui vivo)!
Il mio nickname da dj è DJ FURY, il dj del rock marcio.
Ecco qui sotto la locandina della serta!
GOD SAVE ROCK 'N' ROLL!!

DJ SET BY DJ FURY, il dj del Rock marcio!

Ciao a tutti. Per la prima volta sul blog mi faccio un po' di pubblicità come dj. Non sono di certo quel che si potrebbe definire un dj professionale, infatti la mia attrezzatura è molto rudimentale ed io sono all'inizio della mia esperinza di maneggiatore di mixer e vinili. Però se volete ascoltare un po' di rock bello incazzato venite al mio prossimo dj set che si terrà presso il Bar Saudadé in via S.G.Bosco a Mandello del Lario (la cittadina in cui vivo)!
Il mio nickname da dj è DJ FURY, il dj del rock marcio.
Ecco qui sotto la locandina della serta!
GOD SAVE ROCK 'N' ROLL!!























































lunedì 26 luglio 2010

IO CI FUMO SOPRA (leggi e commenta)

Dunque, non so bene chi esattamente legga il mio blog ma devo supporre che qualcuno sappia più o meno chi sono: Guido Micheli (per qualcuno Fury. Qualcuno addirittura mi chiama "Il marcio", ma a me non piace molto...), autore della raccolta di racconti Io ci fumo sopra e inventore della fanzine letteraria Le tre piume. Gran bevitore di birra. Gran fan dei Ramones. Posto questo post per tornare a parlare del mio libro: secondo il mio editore non sto vendendo molto. Che cazzo devo farci? Beh qualcosa potete farci voi... avete letto Io ci fumo sopra? Sì? Bene, allora potete andare su uno dei siti sottoindicati e lasciare un commento, una recensione, o dare un voto al mio libro.
Se non l'avete ancora letto potete fare due cose:
1) Procurarvelo e leggerlo.
2) Chiudere immediatamente questo blog e non tornarci più.

Ecco i links dei siti per dare voti o scrivere recensioni a Io ci fumo sopra:


http://www.poesieracconti.it/community/libri/

http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/racconti/io-ci-fumo-sopra/

http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-micheli_guido/isbn-9788895106755/io_ci_fumo_sopra_.htm

http://www.ibs.it/code/9788895106755/micheli-guido/io-ci-fumo-sopra.html?shop=5313

venerdì 16 luglio 2010

COBRA ultima puntata (di 6)

Siamo giunti all'ultima puntata di questo racconto che per ben sei settimane è apparso suo mio blog in sei rispettive mini-puntate. Ciò non vuol dire che nuovi eventuali lettori non possano tornare indietro e godersi pezzo per pezzo l'atroce avventura di Cobra e compagni. Buona lettura e... attenti alle telecamere!!!


Capitolo VI
Non aveva mai provato nulla di simile, non aveva mai sentito la sua esistenza tanto in bilico, mai si era sentito così vulnerabile, così vicino al fallimento. Camminando a testa bassa per le strade, scrutando l’asfalto dei marciapiede per concentrarsi meglio, Cobra pensò a come aveva potuto ridursi sul lastrico. Ragionò e concluse che le sue dissennate ricerche lo avevano portato a non considerarne le spese, ad allontanarsi dal reale per rifugiarsi nella fantasia di qualcosa che fosse suo fuori dal mondo che avrebbe dovuto conquistare. Un uomo senza denaro non può far altro che chiedere aiuto. Ma prima voleva tentare il tutto per tutto, compiere il gesto estremo, il gesto del non ritorno che gli avrebbe dato la forza di ottenere ciò per cui, altrimenti, qualsiasi uomo sarebbe stato troppo debole. Tornò a casa di Filtro ed ordinò che gli fosse fatto quel che a Filtro era stato fatto. Si accoppiò selvaggiamente con Sheena e, mentre giungeva all’orgasmo, prese a urlare spasmodicamente: -Ora!! Fallo ora!!-
L’uomo cui aveva tirato il collo gli rese il favore ed un attimo dopo il negro giaceva sul letto come un amante spossato dal troppo sesso.
-Ci devi dare la tua droga- gli dissero in coro i suoi seguaci non appena aprì gli occhi.
-Non ne ho più- rispose -ed è per dimostrarvi che se non ve ne do è solo perché non posso che mi sono messo nella vostra stessa condizione, contagiato dal veleno che io stesso ho creato, ed insieme a voi che non potrete più farne a meno, sarò pronto ad ogni azione. Siete pronti a seguirmi?-
Anche Cobra era umano. La sua umanità affiorava talvolta sottoforma di angosciati pensieri che riguardavano soprattutto la natura delle persone. Poteva turbarsi, ad esempio, nel reincontrare un vecchio conoscente, riconoscerne la faccia, ma sentirsi del tutto ignorante di quel che quella faccia celava, come se i volti fossero maschere prese in prestito dalla collezione di un costumista di film dell’orrore. Era forse per questo che la sua febbrile ricerca nel mondo delle erbe mirava al confezionamento di un farmaco in grado di far affiorare il lato selvaggio di chi lo avesse assunto? Era forse quel lato selvaggio l’immagine dell’uomo senza maschera? I dubbi gli rimasero appiccicati addosso anche dopo essersi infettato della sua stessa pozione. Ma un farmaco per passare alla storia deve creare dipendenza, ed è per questo che Cobra si stava recando dal suo spacciatore di materie prime. Doveva far presto, o l’astinenza lo avrebbe ammazzato prima che il suo nome potesse essere inciso al lato di quello del creatore dell’ LSD.
Cobra decise di cercare un suo vecchio compagno: Fulvio Marcio. Era l’uomo più mascherato che conoscesse. Nel 2039 aveva scritto un libro intitolato Riflessioni milanesi che gli aveva causato molti problemi. Non era stato incarcerato, torturato o deportato ma sì era stato diffamato, sfrattato e licenziato. Le voci ingiuriose che lo avevano portato al pubblico vilipendio gli erano piombate addosso da chissà dove, forse da molteplici fonti che avevano poi prodotto innumerevoli schizzi, ma certamente avevano origine in alto, anche se non si sa quanto in alto. Il suo era un libro composto da piccoli episodi esemplari o brevi riflessioni a sfondo sociale e aveva avuto una certa presa su un discreto pubblico. Cobra si avventurò angosciato per le scale del fatiscente palazzo senza portiere, nel marcescente quartiere di Lambrate, fino alla porta della casa di Fulvio Marcio, intellettuale orgogliosamente esiliatosi in un covo di battone maleodoranti e magrebini dall’indole violenta. Non si vedevano da anni, ma nessuno dei due era molto cambiato. Fulvio accolse la sua visita con sufficienza, e non c’era di che stupirsene. La loro amicizia si era rotta quando Fulvio aveva deciso di condurre la sua lotta personale con l’intelletto, con la teoria e le parole, mentre Cobra aveva scelto di diventare un stregone. Ora che era all’apice della sua carriera di farmacista woodoo, ora che era riuscito a mettere a punto un composto infettivo che trasformava i morti in belve affamate di carne cruda e di sesso, ora che si era convertito anche lui in animale, si ritrovava a dover fare i conti con il più artificiale dei bisogni: il bisogno di soldi. Se non avesse comprato al più presto le materie prime per confezionare il suo farmaco il suo corpo si sarebbe velocemente corrotto ed avrebbe visto i vermi proliferare nelle sue carni. Ma tutto ciò che Fulvio aveva da offrirgli era il penoso spettacolo di se stesso che cercava di tagliarsi le vene dei polsi con un coltello da cucina poco affilato.
Non appena lo vide Cobra capì che la sua ultima speranza di racimolare qualche soldo si stava suicidando e fece appello a tutto ciò che in lui era rimasto di umano per convincerlo a non togliersi la vita.
-Mi hanno tolto tutto!- si lamentava Fulvio Marcio –Se non posso più scrivere non c’è più un senso, non c’è più un senso, non c’è più…- e continuava come un disco inceppato. –Vuoi dei soldi?- disse a Cobra tra le lacrime –Li ho spesi tutti per comprarmi quel computer portatile- e fece cenno al pc che stava sul tavolo. –Non trovavo più carta per scrivere… capisci a cosa siamo giunti?? Non c’è più carta, devono aver abbattuto l’ultimo albero dell’Amazzonia! Poveri noi, poveri noi poveri noi… Così ho preso i miei risparmi a e ho comprato un computer. Per scrivere, capisci?? Per scivere. Se non che, ecco, mi metto a scrivere e mi si cancellano le frasi, o si modificano o vengono fuori degli strani avvisi “pensiero non autorizzato”. Ed ecco che capisco quel che avrei dovuto capire prima: l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, e sono riusciti ad installare in ogni computer un programma in grado di riconoscere le frasi sovversive e ad eliminarle o modificarle per rendere innocuo tutto ciò che viene scritto. E io cosa faccio adesso?? Cosa??-
Cobra riuscì a calmarlo dicendogli –guardami amico, guardami in faccia, sono messo peggio di te - e lo convinse a preparargli un caffè.
Mentre l’altro si trovava in cucina a preparare una grande moca, Cobra cercava di concentrarsi per mettere a buon frutto quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime ore di vita. Guardava senza troppo interesse i libri ingialliti di quello studioso appassito ed il viscido serpente che sibilava nelle sue budella gli diceva di aspettare che il caffè gli fosse servito per poi ucciderlo e bersi una doppia razione. Il suo sguardo cadde però su una copia di Riflessioni milanesi che stava sul tavolo; il libro scritto da quello che era stato una volta simile a un amico pareva chiedergli di aprirlo e così, più per istinto che per curiosità, Cobra cominciò a leggere una pagina a caso, una delle tante riflessioni che a Fulvio erano sembrate a lor tempo importanti e che invece si erano disperse come fumo nell’aria. La riflessione che si ritrovò a leggere era:
IN TRENO SIAMO TUTTI UGUALI
Devo andare a xxx. Il mezzo migliore, mi pare, è il treno. Mi reco quindi alla Stazione Centrale di Milano, una stazione affollata e pregna di odori: sudore, merda di piccione, piscio umano, polvere datata divenuta ormai fossile, fumo… La cosa che odora di meno, qua dentro, è il cibo dei chioschi. Eppure credo di aver letto su un libro della prima metà del ‘900 una descrizione piuttosto suggestiva dell’aroma emanato da un piatto di fagioli ben conditi. Sul dizionario ho trovato anche parole come “fragranza” e “succulento”, ma credo che ormai possano essere ascritte all’albo degli arcaismi.
Quando salgo in carrozza il treno per xxx si sta affollando. Mi approprio di un posto a sedere, uno degli ultimi rimasti liberi, mentre il corridoio del vagone si popola di persone costrette a rimanere in piedi. Ecco che tra la gente si fa largo un bellimbusto assai distinto: scarpe lucide, pantaloni da negozio stile “vietato l’ingresso ai non abbienti”, giacca da stilista gay, borsa più costosa di tutti gli oggetti che riempiono la mia, gel per capelli che deve valere più di tutti i miei pasti della domenica dei miei ultimi dieci anni. Questo bellimbusto cerca di farsi largo per il corridoio, spinge, chiede permesso e si sorprende che non gli cedano il passo tanto facilmente. Quando giunge all’altezza del mio sedile s’imbatte in una piccola signora dalla pelle scura e raggrinzita dalle inclemenze di una vita passata ai piedi della scala sociale. Scorgo sorpresa sul suo volto, perché la signora non si scosta per lasciarlo passare. Chiede permesso e gli viene risposto che “non vede? è tutto pieno, dove vuole andare?” Zittito da una donna dall’accento straniero l’elegantone abbassa gli occhi al vecchio sudicio strafatto di whisky scadente che ha trovato posto lì accanto, e siede come un re sul suo trono; il suo bagaglio è un sacchetto della spesa strappato. Il bellimbusto stringe a sé la sua borsa elegante che chissà cosa contiene; dal volto triste di quest’uomo ben vestito e pettinato ricavo una riflessione: in treno siamo tutti uguali.
Quanti anni erano passati da quando Fulvio Marcio aveva scritto quelle cose? Tanti. Abbastanza da cambiare drasticamente la realtà che descriveva. Ora che le fonti di energia stavano esaurendosi le vecchie stazioni ferroviarie erano il covo di indigenti cenciosi e cani randagi. A soli duecento metri dalla casa di Fulvio Marcio, nella stazione di Lambrate, si aggiravano donne di malaffare per straccioni che si accoppiavano con chi non aveva altro da offrire se non gli ultimi residui di vita, donavano loro un ultimo brivido, si prendevano i loro ultimi schizzi di sperma rancido e li uccidevano al riparo di qualche vagone abbandonato, per cuocere le loro cosce su falò di spazzatura bruciata. A volte si vedevano le colonne di fumo di qualche vecchio treno che prendeva fuoco, dense e nere si alzavano in cielo, sullo sfondo gli aerei che ogni cinque minuti partivano dai diversi aeroporti bruciavano ad alta quota quelli che dovevano essere gli ultimi barili di carburante, che però sembravano non finire mai.
Una linea ferroviaria ancora in funzione, però, era rimasta. Era una linea di treni veloci e costosi, una linea di treni di lusso che collegava le principali città del paese. A Milano partivano due treni al giorno, dalla Stazione Centrale, l’unica ancora tirata a lustro, più limpida e profumata di quando era stata costruita, quella stessa stazione in cui Fulvio Marcio aveva preso il treno all’epoca delle sue Riflessioni milanesi, quella stazione che l’intellettuale fallito aveva visto come simbolo della democrazia e dell’uguaglianza ora era un luogo d’elite, dove per comprare un biglietto bisognava essere ricchi sfondati. L’alternativa, per la gente comune, erano gli aerei sovraffollati delle grandi compagnie, o le proprie gambe.
Nella Stazione Centrale tutto era sterilizzato e disinfettato, le sfumature di grigio dei marmi facevano da contrappunto con i grandi schermi pubblicitari colorati e con le vistose vetrine, decine di persone che avevano scelto la strada del consumo e del benessere ai danni di milioni di straccioni camminavano come sotto ipnosi verso i binari. Chi era più morto? Quelli che là fuori si consumavano trascinandosi in una vita di fame, malattia ed alcolismo o questi ricchi lobotomizzati dai messaggi promozionali e dai marchi delle industrie di vestiti di lusso? Le telecamere di sicurezza colsero Cobra mentre era impegnato in tali ragionamenti. Il suo aspetto infetto aveva dato nell’occhio in mezzo a tanta igiene, il suo incedere storto era troppo diverso dal passo di quelli che camminavano instupiditi con lo sguardo incollato agli schermi e i cervelli in un cortocircuito di messaggi subliminari come “compra la nostra nuova fragranza alla violetta, gli uomini profumati non fanno i cattivi”. Una guardia gli sbarrò il passo e gli chiese dove vai negro, ma poco dopo la stessa guardia aveva un morso sul collo e uno zampillo di sangue risaltava molto bene sul marmo del pavimento. Cobra fu abbattuto dai manganelli elettrici. Come un animale.
Quasi subito anche Sheena era entrata in stazione e forse solo grazie al trambusto causato da Cobra era riuscita a prendere posto in un vagone. Si era seduta mettendo in mostra le sue cosce colorite lasciate scoperte dalla gonna minuscola e strappata, ma nessuno l’aveva vista; sopra ogni sedile c’era uno schermo che mandava sempre le stesse tre pubblicità per tutta la durata del viaggio, per due ore, per tre ore, per sei, e una volta arrivato a destinazione la prima cosa che avresti cercato sarebbe stato il nuovo profumo alla mimosa le donne profumate scopano meglio o le nuove mutande di Dolce&Compare agli uomini che le indossano si ingigantisce il pacco. Così l’unico che notò quella pantera scollata fu il controllore che le chiese “biglietto signora” e lei allungò la mano per dare al controllore un biglietto che non aveva mentre il controllore le porse la sua per prendere un biglietto che non esisteva, e ci rimise due dita. Sheena masticò le sue falangi come fossero patatine fritte mentre gli uomini della sicurezza piombavano nel vagone inorriditi. Dovettero spararle una ventina di volte per fermarla. Anche un passeggero ci rimise cranio e cervello, due schermi pubblicitari andarono in frantumi.
Filtro si mantenne fedele al suo stile: si avvicinò ad un uomo in tenuta business che, in un angolo dell’atrio della stazione, fissava la pubblicità di una nota marca di sigarette. -Hey amico- gli chiese
–Non è che hai una paglia?- Questi lo guardò con sguardo vuoto e gli porse, con un gesto lento e svogliato, una sigaretta.
-Hey- protestò Filtro –Che cazzo è ‘sta merda? È di plastica-
-È una sigaretta elettrica- fece il businessman apatico –È proibito fumare tabacco nell’atrio. Le sigarette elettriche, invece, si fumano ovunque e questa è carica di supernicotina, quando tiri si accende la lucina sull’estremità, come se stessi fumando sul serio.-
-Puoi tenertela la tua schifezza elettrica, ne voglio una vera, capito?- urlò Filtro alterato, e mentre strillava estrasse una lama lunga una spanna e mezza. Il suo volto si fece più bestiale di quanto già non fosse, abbastanza minaccioso da scuotere il signor business dalla sua indifferenza. –Le hai o non le hai le sigarette vere?- chiese avvicinandogli il coltello al collo
- L-le ho – fece l’altro spaventato, e con mano tremante gli si frugò nelle tasche. Filtro si prese l’intero pacchetto, ringraziò e lo stese con una testata. Si accese una sigaretta, una vera, e diede un tiro profondo, chiudendo gli occhi per gustarselo di più. Non vide arrivare i poliziotti, né la grandinata di manganellate che si abbatté su di lui. Mentre lo trascinavano via, Filtro teneva ancora in mano la sigaretta accesa, e sorrideva.
Nel frattempo Aldo Paoli faceva ancora una volta il suo ingresso nell’ufficio del direttore dell’aeroporto 7. Era esattamente come lo aveva lasciato: gli stessi quadri che stavolta gli sembrarono orrendi, lo stesso odore, che stavolta gli sembrò più forte: odore di soldi, di ricchezza, di sigaro. Un odore eccitante. Aldo Paoli si sedette prima che il direttore lo invitasse a farlo.
-Signor Paoli. Ci siamo visti solo quattro giorni fa, perché lei aveva dato cenni di comportamento anomalo. Ora, lei ha accumulato quattro giorni di assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, omissione punibile per legge con tre mesi di carcere per ogni assenza più l’aggravante che consiste nel fatto che il suo era un lavoro di alta responsabilità, il che significa raddoppio della pena. Certo, se lei si fosse presentato nel mio ufficio vestito decentemente, con una buona giustificazione, pronto a scusarsi e mostrandosi abbastanza lucido per riprendere il suo lavoro, io avrei potuto essere clemente… ma cosa dovrei dire, invece? Si guardi; ha un aspetto improponibile, signor Paoli, impr…-
Aldo Paoli emise un ruggito, e saltò dall’altra parte della scrivania. Afferrò il direttore per la giacca verde e mentre lo strozzava con la sua stessa cravatta blu gli si ingrossavano le narici riempiendosi dell’odore del gel per capelli della sua vittima che spirava con un’espressione sbigottita dipinta in volto. Poi si sedette al posto del direttore, cominciò ad esplorare gli oggetti di lusso sparsi sulla scrivania. Pochi essenziali oggetti di lusso, e tra questi una scatoletta di legno. Quando vennero ad arrestarlo lo trovarono come in estasi, mentre ne odorava il contenuto: odore di soldi, di ricchezza, di sigaro. Alle sue spalle gli orrendi quadri erano stati rimossi dalle pareti; al loro posto Aldo Paoli aveva messo il direttore, appeso per la giacca, coi chiodi.
Nella saletta di controllo il sostituto di Aldo Paoli sorseggiava un energy drink e fissava nervosamente i monitor. Un uomo seduto nell’area d’imbarco attirò la sua attenzione: aveva il volto rovinato da qualche tipo di malattia e si guardava intorno come un animale che si sente braccato. D’un tratto Charles Logan si voltò verso la telecamera di sicurezza, e mostrò dito medio. Se l’uomo al di là del monitor avesse saputo leggere il labiale avrebbe inteso che nel far quel gesto Logan sussurrava:
non c’è più un luogo in cui fuggire…


FINE!!



venerdì 9 luglio 2010

COBRA quinta puntata (di 6)


Eccoci alla penultima puntata di Cobra, il mio ultimo racconto. La parte conclusiva uscirà su questo blog venerdì prossimo.
Illustrazione di Stefano Parola.


Capitolo V
Anche Aldo riaprì gli occhi, anche lui con una fame da lupo, ma, soprattutto, senza sentire il suo cuore risvegliarsi con lui, sentendosi in qualche modo svuotato del soffio vitale, e forse della stessa anima. Aveva i vestiti a brandelli, e se si fosse guardato avrebbe notato che le sue carni erano alquanto deturpate. Ma non ci pensò, non si lasciò impressionare dal sangue che tinteggiava le pareti, il letto, il pavimento, a chiazze, a gocce, a schizzi. Uscì zoppicando dall’appartamento, come se avesse sempre camminato così, e si trascinò giù per le scale. Le strade gli parvero buie, poi accecanti, come in un primo pomeriggio d’un agosto assolato. Attraversando piazza Sant Alessandro vide venire, dal lato opposto, una vecchia trascinata dal barboncino bianco che la teneva al guinzaglio. Guardò il cane con odio e gli si fece incontro con passo claudicante. L’abbaiar che fece l’animale vedendoselo venir contro accese ancor di più i suoi spiriti di fuoco, gli si gettò addosso e lo mangiò lì dove l’aveva acchiappato, incurante degli urli della beghina sua padrona.
Nessuno mosse un dito per quel cane; le telecamere erano lì, e vedevano tutto, le pattuglie giravano nella strada accanto, ma non successe nulla. Solo apparvero Sheena e Logan, per nutrirsi delle carni della vecchia; le strapparono di dosso la sua pelle flaccida, gli rimasero le rughe tra le dita. Aldo guardò loro negli occhi, e loro guardarono lui.
Tre milioni di persone vivevano a Milano, e vi erano circa quattro milioni di telecamere. Logan aveva sognato di fracassarle tutte una volta; lui non lo sapeva ma Aldo aveva sognava la stessa cosa. Ad Aldo gli occhi di Cobra avevano ispirato fiducia; sempre coperti dagli occhiali scuri… non pareva che ti guardassero. Non se n’era reso conto, ma in realtà gli occhi di Cobra non li aveva neanche mai visti. In quei giorni Cobra camminava nervoso per la sua cantina, misurandola con le suole callose dei suoi piedi scalzi. Logan e Sheena non c’erano, Aldo Paoli non era più tornato al covo, Filtro si palesava quasi quotidianamente, ma aveva l’aria nervosa e incazzata, e non lo trattava più come un mentore. Un giorno Filtro bussò alla porta dello scantinato ma Cobra non venne ad aprire. Aspettò mezz’ora sul marciapiede, fumando sigarette, e finalmente arrivarono due grossi occhiali scuri, davanti ad un volto ruvido circondato da una criniera di capelli ricci, e con quel volto il resto dell’uomo che stava aspettando.
-Ciao Filtro- disse Cobra aprendo la grossa porta di ferro
-Ciao-
Quando furono nel covo Cobra si diresse a passi lenti verso il suo abituale tavolaccio di pietra, verso gli angoli bui dove passava le ore a rimescolare erbe, radici, funghi e quant’altro, ma Filtro, seguendolo da vicino, era deciso a non lasciarlo andare a nascondersi nell’ombra.
-Cosa facciamo?- gli chiese con tono più minaccioso che interrogativo, quasi alitandogli nell’orecchio
-Nulla, per ora-
-Sono giorni che non facciamo nulla. Io ho ucciso Logan e Sheena, l’ho fatto perché me l’hai chiesto tu. Ma perché? E perché Aldo non si vede più?-
-Logan e Sheena devono essere in giro, prima sono uscito a cercarli, ma non ho idea di dove possano essere andati-
-Cooosa?- fece Filtro alquanto indispettito –Io li ho uccisi entrambi! Dubiti che l’abbia fatto sul serio?-
-Io spero che tu l’abbia fatto- replicò Cobra – e, se l’hai fatto, spero che siano ancora in giro-
-Mi prendi per il culo?- strillò Filtro afferrandolo per la camicia e dandogli uno scossone.
-La droga che ho dato ad Aldo- disse Cobra in fretta, perdendo la sua aria da serpente velenoso per quella d’un verme supplichevole –se ha fatto effetto Logan… e Sheena… dovrebbero essere, non dico vivi, ma… attivi, e affamati-
Filtro rimase per un momento immobile, stringendo il colletto di Cobra tra i pugni tanto serrati che le mani cominciarono a fargli male, fissandogli addosso due occhi sbarrati e sporgenti, di pietra.
-Tu sei pazzo- disse infine lasciandolo andare, facendo due passi indietro e sputandogli addosso con stizzoso disprezzo. Poi voltò le spalle a Cobra, pensando di lasciarlo come si lascia una parte della propria esistenza relegandola per sempre in un album di foto intitolato “passato”.
-Vedrai!- gli urlò Cobra mentre già la sua ombra spariva ad di là della porta dello scantinato -Vedrai!!-
Filtro si sedette esausto sul divano che occupava per tutta la lunghezza una parete di quel buco che chiamava casa, con una birra calda in mano ed una sigaretta tra le labbra, e osservava lo scaffale dei suoi tesori: vecchi film in dvd, alcune rarissime videocassette, fumetti dalle pagine ingiallite, libri. Pensava che il futuro non era come se l’erano immaginato i grandi registi d’un tempo: la terra non era stata inghiottita dalle acque come in Waterworld, non c’erano le bizzarre tecnologie di Nirvana, e non era nemmeno tanto terribile come in 1984, per fortuna. Certo che quel libro era, tra le tante premonizioni, quella più valida, perché aveva predetto quali sarebbero stati gli strumenti del potere repressivo e l’inutilità di tentare ad opporvisi. Forse non si era giunti alla situazione vaticinata da Orwell solo perché non ce n’era stato bisogno, perché l’umanità si era rivelata più docile del previsto… o no?
Filtro se ne stava perso in queste inconcludenti riflessioni, stordito dalla calura della giornata, quando sentì bussare alla porta.
-Andate via!- urlò, quasi piangendo, oppresso com’era dal peso del suo divagare. Ma il bussar dal di fuori non cessò, anzi, continuò costante ed insistente, con il sinistro assillo d’un richiamo dall’oltretomba. Quando il rintocco dei colpi sul legno della porta gli ebbe invaso la testa come un rimbombo amplificato ad ogni eco, s’alzò snervato e spalancò nervosamente l’uscio.
Dapprima riconobbe Aldo, o quel che ne rimaneva; un uomo ricurvo s’un lato a malapena coperto da pochi stracci sbrindellati, e sotto quegli stracci sporchi ferite luride di sangue rappreso. A Filtro andò di traverso l’ultima sorsata di birra e fu costretto a tossire forte e a fare quello che mai avrebbe fatto in situazioni ordinarie; lasciò cadere la sua sigaretta ed indietreggiò dandosi forti colpi sul torace, come a voler sputare la bevanda maltata che gli era andata giù per il tubo sbagliato. Quei pochi passi indietro gli permisero una visione più completa di coloro che erano venuti a fargli visita. Se si potesse pensare agli stipiti di una porta come ad una cornice si direbbe che a Filtro si presentò il quadro di un pittore psicopatico con uno spiccato senso dell’orrido e del meticcio. Da un lato la figura che abbiamo descritto, dall’altro colui che a suo tempo si era fatto chiamare Charles Logan, solo un po’ più pallido, d’un pallore messo in risalto dalle macchie livide che gli si gonfiavano in volto. Tra i due Sheena avanzava più come una pantera che come la ragazza che era stata e dietro di loro un Cobra dalla ritrovata imponenza, rianimato da un nuovo senso di viscida velenosità, pareva guidarli non come un pastore che conduce le sue pecore ma come un falconiere che libera il suo rapace.
-Prendetelo!- urlò, allungando un dito nero tempestato di anelli ingioiellati.
-N-no!- balbettò Filtro con voce strozzata, mentre Logan ed Aldo gli si facevano incontro più brutti che mai. Lo presero per le braccia, uno a destra ed uno a manca, nonostante i pugni e lo smanacciare che fece, gli si avvinghiarono indosso come bestie, come scimmie che si aggrappano al ramo. Poi si fece avanti Sheena, alta e sfrontata, ma non meno sciupata degli altri, coi capelli arruffati da strega, o da vecchia trasandata. La carne del suo volto, quella parte che sta sopra le guance ed appena sotto gli occhi, era insolitamente incavata ed il suo sorriso aveva un’aria malaticcia o malsana. Puntò dritto ai suoi blue jeans slavati, alla cerniera dei suoi pantaloni scoloriti, incurante dello scalciare e dei “che cazzo!” di Filtro.
-Stai fermo, brutto tabagista!- gli disse Aldo sfiorandogli il volto con le labbra, investendolo di un alito pestifero, mentre con una mano aiutava Sheena a trargli il pene fuor dalle mutande. Sheena gli gettò le braccia attorno al collo e gli si arrampicò addosso stringendo le cosce intorno alle sue ossa iliache ed i polpacci appena sotto le sue natiche, Aldo prese tra le dita il suo uccello e lo accompagnò nella vagina della negra. Dapprima Filtro non provò alcun tipo di eccitazione, ma solo un certo senso di repulsione. Poi sentì il suo pene gonfiarsi, lentamente, cominciare a pulsare, a riempirsi di sangue. I movimenti pelvici di Sheena che pareva gustarsi il suo organo sessuale come la più dolce delle squisitezze e l’impossibilità di opporre resistenza a quell’atto sessuale, perché Aldo e Logan lo tenevano inchiodato al pavimento, lo spinsero alla deriva in un vasto mare erotico e scarlatto. Chiuse gli occhi dimenticando il lato mostruoso della creatura con cui stava chiavando mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi. Quando però tornò a sollevare le palpebre si vide davanti un faccione che lo guardava con due occhi grandi, rossi e sporgenti; due occhi che aveva sempre avuto vicino, ma che non aveva mai potuto vedere. Non fece in tempo a dir nulla; con un movimento deciso Cobra gli afferrò il capo con entrambe le sue robuste mani e gli girò il collo torcendolo oltre gli umani limiti, godendosi il secco scricchiolio delle sue vertebre cervicali. Poi si rimise gli occhiali scuri e gli voltò le spalle.
Se la sua supposizione era esatta Cobra avrebbe presto dovuto soddisfare la dipendenza fisica di quattro creature affamate, pronte a tutto pur di avere la sostanza che avrebbe permesso loro di non putrefarsi come cadaveri ambulanti. Se il contagio si fosse trasmesso anche per via sessuale presto anche Filtro sarebbe diventato feroce come Sheena, livido come Logan, ributtante come Aldo, e come gli altri tre, bisognoso delle sue mani esperte nel maneggiare mandragole e stramonie. Cobra lasciò gli altri nell’appartamento e, una volta in strada, telefonò ad un suo garzone di fiducia per ordinare una cospicua quantità delle materie prime necessarie per la preparazione del suo farmaco. Quando ebbe chiuso la conversazione si recò allo sportello di un bancomat, inserì la sua carta di credito, digitò il codice e richiese un sostanzioso prelievo. Ma a questo punto ebbe una sorpresa delle più indesiderate. La scritta sullo schermo gli disse che il suo credito era esaurito. Cobra sbiancò (per quanto possa sbiancare un negro), ripeté l’operazione, richiese il contante altre due, tre volte. Mentre, sudato per l’agitazione, colpiva più forte i tasti della macchina automatica, un agente della sicurezza uscì dalla banca e gli si accostò con fare severo
-Qualche problema, signore?- gli chiese studiandolo
Cobra capì che lo avevano osservato attraverso i monitor e gli occhi vitrei delle telecamere, e il suo comportamento aveva destato sospetti.
-N-no- rispose nervosamente, e s’allontanò schivando ulteriori domande.

venerdì 2 luglio 2010

COBRA quarta puntata (di 6)


In extremis, posto la puntata del venerdì del mio racconto Cobra.
Questa volta l'illustrazione è opera di And.
Buona lettura e buon fine settimana a tutti!.





Capitolo IV


Aldo Paoli se ne stava seduto nella parte più bassa dello scantinato, la parte dove dimorava il Cobra, e occupava il pomeriggio fumando, e mangiandosi le unghie tra una sigaretta e l’altra. Cobra mescolava chissà quali sostanze: agenti chimici, erbe, polverine…
Filtro arrivò trafelato, sudato, giù per la scaletta, svegliando Aldo dal suo torpore.
-Fatto- disse attraversando la cantina
Cobra lo squadrò. Poi chiamò a sé Aldo
-Se Filtro ha fatto il suo dovere- disse –troverai due cadaveri a questo indirizzo- gli allungò un biglietto -Vai ed inietta nelle vene dei due corpi cento millilitri di questo-
Cobra gli porse due siringhe e due boccette. Contenevano un liquido ed avevano quei tappi che si possono bucare con l’ago; mentre le prendeva ad Aldo tremavano le mani.
-Non farle cadere!- lo ammonì Cobra
Filtro si passò la mano destra sulla testa rasata, poi si annusò il palmo: “mi suda anche il cranio” pensò schifato.
-D-due cadaveri?- balbettò Aldo dopo alcuni attimi di silenzio
-Muoviti- disse Cobra lentamente –E tu, Filtro, dagli le chiavi dell’appartamento-
-Il portinaio è un rompi coglioni- lo avvertì Filtro –Liberatene in fretta-

Si era ormai fatto buio; per le strade c’era un po’ più di gente che di giorno, gente che approfittava delle ore meno calde per andare a bere una birra ghiacciata. Uscendo dal covo Aldo incrociò la gattara della zona; era una donna anziana, che usciva solo di notte, portava dei lunghi rasta bianchi che le scendevano dal capo fin sotto al culo, era quasi del tutto sdentata e chiamava i gatti di strada per nome. Aldo giunse all’indirizzo, oltrepassò la soglia del portone e un brivido freddo gli gelò il sudore di quella calda serata; era il pensiero che avrebbe visto due cadaveri. La portineria era vuota ma il portiere aveva lasciato un biglietto: “Torno subito, sono in bagno”. Aldo ringraziò la sorte d’avergli scansato un ostacolo dal cammino. Infilò in fretta le scale, per evitare che, mentre aspettava l’ascensore, il portinaio tornasse, e per non rimanere troppo tempo sotto l’occhio della telecamera che vigilava l’ingresso. Quando fu nell’appartamento un misto di orrore e sorpresa investirono Aldo come una vampata; si richiuse in fretta la porta alle spalle e contemplò quel macello. L’appartamento era a soqquadro, ma quello era il meno. Si aspettava di trovare due cadaveri ed, in effetti fu così; quello che non si aspettava era che si trattasse di Logan e Sheena. Il primo era steso sul pavimento, la seconda sul letto; all’apparenza erano stati picchiati a sangue. Due domande si affacciarono nella testa di Aldo: come aveva fatto Filtro a farli fuori da solo, senza usare armi? E come mai Cobra aveva voluto la morte di sua figlia?
Aldo richiuse la porta del cervello, per non farvi entrare altre interrogazioni, e scacciò quelle che già vi si erano addensate. Chinatosi sul fu Charles Logan estrasse una delle boccette ed una siringa, aspirò il misterioso liquido e glielo iniettò in una vena del braccio. Prese un lungo respiro e si accinse a fere lo stesso con Sheena.

Charles Logan sentì un improvviso, fortissimo mal di testa. Non sapeva dove si trovasse, chi fosse, non vedeva nulla. Poi la nebbia si diradò, come una cataratta che svanisce all’improvviso, e vide i suoi dischi sparsi sul pavimento, le sue cose, mezze fracassate. La testa gli divenne di colpo da pesante a leggera, fin troppo leggera, come se fosse in stato di ubriachezza, o sotto l’effetto di qualche droga. Infine si sentì forte, fortissimo e affamato. Come in una visione gli attraversarono la mente flash di immagini da macelleria: vitelli sgozzati, mucche appese al gancio, grondanti sangue. S’alzò passandosi la lingua sul labbro e deglutendo per mandar giù la sovrabbondante saliva che aveva preso a secernere. Senza esitare oltre si avventò sul primo essere in movimento che vide, portando avanti le mani e i denti, strappando i vestiti per trovare la carne, agendo con furia forsennata, mordendo con voracissima brama. Aldo di tutto s’aspettava, tranne che Logan potesse rinvenire ed aggredirlo a morsi. Era in ginocchio sul letto e stava iniettando il liquido a Sheena quando, sentendosi toccar la spalla, diede un balzo e si voltò col cuore in gola. Si trovò faccia a faccia con un uomo che pareva essersi trasformato in belva, che mostrava i denti ma, suo malgrado, non certo per sorridere, che spalancava la bocca tanto che a spalancarla di più si sarebbe lacerato i muscoli e la pelle del volto… e che volto! Tumefatto e livido com’era per le bastonate che aveva ricevute da Filtro… Filtro… Al pensare al nome di Filtro, mentre forse il redivivo Logan gli stava già strappando le carni a morsi, ad Aldo vennero in mente le parole di Cobra, giù al covo: “Se ha fatto bene il suo lavoro” aveva detto il negro “dovresti trovare due cadaveri”. E che cadavere non fosse Logan, almeno fino a due minuti prima? La vista del proprio sangue, il vederlo saltar fuori a fiotti e zampilli, gli diede la forza di provare a reagire; estrasse la siringa dal braccio di Sheena, alla quale aveva già iniettato metà della dose, e la brandì verso Logan, per infilzarlo. Gli piantò l’ago nel costato ma lui non fece una piega, si tolse invece la siringa di dosso e l’affondò nel petto di Aldo centrando lo spazio tra una costola e l’altra ed iniettandogli quel che rimaneva del liquido. Aldo emise un urlo straziato mentre un ventricolo gli esplodeva in corpo ed il calore l’abbandonava. Logan ne avrebbe fatto scempio, l’avrebbe spolpato fino all’ossa e avrebbe sgranocchiato anche quelle, a guisa di cane randagio, se non si fosse accorto che, nel frattempo, era resuscitata anche Sheena. La vide che mordeva una gamba di Aldo ed il suo primo istinto, proprio come fosse il cane affamato che ho detto, fu di cacciarla lontano dal suo pasto, ringhiandole contro incattivito. Ma un altro istinto, altrettanto animale ma meno violento, si risvegliò in lui alla vista della bocca di Sheena, del sangue che dalle sue labbra colava caldo ed appetibile lungo il suo collo color caffè-latte, sulle sue prosperose, femminee mammelle, ed alla vista del suo sguardo da pantera. Lei alzò gli occhi e gli trafisse il cuore, o quel che ne restava, con gli occhi. S’avventarono l’un sull’altra, si avvinghiarono lei su di lui, lui con lei, si diedero dei baci sanguigni, si esplorarono, si frugarono, si persero in un oceano di sensazioni lussuriose e lascive.

venerdì 25 giugno 2010

COBRA terza puntata (di 6)
























Come ogni settimana, di venerdì, pubblico una puntata del racconto Cobra.
Illustrazione di Stefano Parola!
Buona lettura!


Capitolo III

Quando Charles Logan si era divincolato da Filtro ed era filato fuori dal Covo dell’organizzazione Aldo Paoli era rimasto immobile, Cobra aveva osservato attentamente e preso nota e Sheena, la figlia di Cobra, quella che se ne stava a gambe aperte sul tavolo di pietra, beh , lei era sotto l’effetto di alcune pozioni che suo padre le aveva somministrato. Filtro non sapeva come reagire; gli faceva male il braccio, aveva preso una gomitata nel costato ed era incerto tra due attitudini. Uno: sentirsi umiliato per non essere stato in grado di trattenere Logan, e dover quindi cercare le parole per chiedere scusa a Cobra, magari ostentando un atteggiamento di sottomissione. Due: biasimare Cobra per non essere stato ancora in grado di trovare qualcuno a cui importasse della loro causa. Così se ne stava piegato reggendosi il braccio e facendo smorfie simulando più dolore di quanto in realtà ne provasse. Fu Cobra a togliere tutti d’impiccio.
-Quell’uomo può esserci utile- disse –Sheena, ti va di sedurlo?-
Sheena se ne stava ancora a gambe aperte con rivoli di sangue mestruale che le colavano tra le cosce. Stava appoggiata sui palmi e teneva la schiena inarcata facendo ciondolare la testa e i lunghi capelli ricci all’indietro.
-Sìììììììì- disse infine sibilando –Mi piaaaaceee-
Cobra le porse due specie di mezzi gusci di cocco, pieni di un paio dei suoi intrugli. Sheena trangugiò tutto in un sorso. Poi le diede due buste d’erba. Lei le nascose nelle reggiseno e scese dal tavolo.
-Ciaooo- disse mentre se ne andava sculettando, già pregustando il compito che suo padre le aveva dato.
Era pomeriggio inoltrato, gli asfalti erano caldi, l’aria era afosa. Sheena portava un paio di scarpe col tacco bianche, aperte, coi lacci. Una gonna corta, una canottierina coi pizzi, un reggiseno troppo piccolo per le sue tette da quarta, e… niente mutande. Le droghe che suo padre le somministrava la facevano sentire leggera, facevano sembrare tutto più interessante, più divertente. Guardava i passanti e le sembravano tutti usciti da qualche opera d’arte, e se li sarebbe scopati tutti. Passò davanti a un manipolo di militari in pattuglia; la guardarono con fare tra il sorpreso e l’ammirato, uno di loro mosse anche un passo verso di lei, accennando ad un gesto di alt, ma s’arrestò. Passò davanti a un gruppo di cinque o sei uomini che venivano dispersi da due poliziotti accorsi di gran carriera apposta per loro, per pungolarli coi loro manganelli a scossa elettrica come fossero capi di bestiame, e come mucche mansuete questi se ne andarono in diverse direzioni, e le loro timide lamentele suonavano come i sommessi muggiti di un gruppetto di vacche dagli occhi vitrei che ciondolano le pesanti teste per la rassegnazione. I poliziotti risalirono in macchina in attesa che un’altra delle migliaia di migliaia di telecamere sparse per la città gli segnalasse un altro gruppo di poveracci da disperdere con le cattive.
Sheena dovette ricontrollare più volte il biglietto con l’indirizzo di Logan, ma infine riuscì a giungere al suo palazzo. Il portinaio la squadrò da capo a piedi, e s’affrettò a interrogarla.
-Come si chiama, signorina? E dove sta andando?-
Per fermarla le mise una mano sulla spalla. Bastò quel leggero contatto a scatenare gli effetti delle sostanze che Cobra le aveva fatto ingoiare. Istintivamente mise una mano sulla natica del portinaio e poi, suadente, la mosse fino ad avvicinarsi alla zona pubica. Il portinaio rimase di sasso, notò il rivolo di sangue che le scendeva lungo la pelle scura della gamba, ma non gli riuscì di dire altro.
-Charles Logan- gli sussurrò Sheena, allungando la lingua nel pronunciare la elle fino a sfiorargli l’orecchio, e intanto gli si fece contro, strusciandosi e cercando a tastoni la cerniera dei sui pantaloni. Il portinaio era sul punto di lasciarsi andare quando, d’improvviso, si ricordò della telecamera che vigilava la hall d’ingresso. La spinse via e le intimò di andarsene. Questo risvegliò il lato violento di Sheena, un altro degli istinti animali che le droghe di Cobra riuscivano a sublimare. Afferrò il portinaio per il colletto e sbattendolo contro la vetrata della portineria gli piantò addosso uno sguardo felino, avvicinò il suo volto ad un centimetro dal naso di lui e tornò a sibilare quel nome, ma con vena più aggressiva.
-Charles Logan- disse soffiando
-Sono qui- fece Logan materializzatosi sulla soglia della hall d’ingresso. Aveva riconosciuto subito Sheena ed il suo primo istinto era stato quello di mandarla via in malo modo. Ma vedendo il suo profondo ansimare, il profondo su e giù dei suoi grossi seni che accompagnava ogni suo respiro, cambiò idea. La prese per mano e, prima di sparire con lei dietro la porta dell’ascensore, lanciò un brutto sguardo al portinaio.
L’appartamento di Logan era piccolo e disordinato; non appena vi mise piede Sheena si sentì pervasa da un senso di disagio e sentì la necessità di conversare con calma. Per fortuna aveva con lei ciò di cui c’era bisogno. Si sedettero sul letto, misero nel vecchio lettore cd un album di musica reggae, ed arrotolarono una canna.
-Mio padre mi usa- disse Sheena dopo alcuni lunghi minuti di silenzio –e a me, finora, è sempre piaciuto farmi usare. Mi piacciono le droghe che mi dà. Vedi, lui è una specie di stregone. La mia famiglia discende dalla comunità caraibica che da un paio di generazioni si è impiantata in città: i miei nonni erano di Haiti e di Trinidad. In quei luoghi la gente si tramanda antichi riti, è normale che qui gente come mio padre dia fuori di matto. Lui è stato ripudiato dai suoi stessi consanguinei, accusato di essere sodomita e pederasta-
-Cazzo- fece Logan prendendo la canna dalla mano di Sheena –E ‘sta storia dell’organizzazione sovversiva?-
-Una sua follia-
-Ma non ha tutti i torti-
-Non li ha, ma è matto lo stesso-
-E tu? Te ne stavi a gambe aperte sul suo tavolo, a farti infilare una penna tra le cosce. Non venirmi a dire che questo è un comportamento normale…-
-Tu non hai mai provato le sue pozioni- disse Sheena –Ti assicuro che hanno l’effetto di far sembrare tutto assolutamente spassoso-
-Spassoso…-
-Sì, provare per credere-
-Quindi non credi nella lotta rivoluzionaria di tuo padre…-
-Ci credo, quando sono drogata-
-Cioè, non ci credi. Normalmente non ci credi-
-Il punto è che normalmente io sono drogata. Lo sono anche adesso-
Logan scosse la testa –E cosa volete da me?- chiese
-Collaborazione-
-Per cosa?-
-Questo devi chiederlo a mio padre-
Logan continuava a credere di aver a che fare con una squilibrata, una squilibrata che però gli andava a genio, forse per via di quel paio di tette…
Sheena si addormentò sul suo letto e Logan si riempì un bicchiere di whisky con due cubetti di ghiaccio che però gli diede subito un bruciore allo stomaco. Mente tentava di mandar giù il suo drink guardava fuori dalla finestra del suo angusto monolocale, guardava alla distesa di palazzi spettrali, sentiva il silenzio, e grosse gocce di sudore gli colavano lungo la fonte ed il collo. Tentava di dare un senso ai frammenti d’immagini e parole che popolavano il suo scrap book, il suo album dei ritagli mentale di quegli ultimi giorni. Ebbe un certo sentore di essere prossimo ad un epilogo.

continua venerdì prossimo.....

martedì 22 giugno 2010

IRON MAIDEN (la squadra di calcio)

Sabato 13 giugno 2010 ha fatto il suo esordio su uno dei campi da calcio più battuti del lecchese una nuova e promettente squadra, gli Iron Maiden. Ispirati ai principi del rock più duro i membri di questa irruente formazione si sono presentati sul campo di gioco muniti di vino rosso ed indossando le magliette della band metal che dà il nome alla loro squadra: gli Iron Maiden sono stati per una (e forse due) generazioni di rockers una vera icona, il design delle copertine dei loro dischi è inconfondibile, e le loro canzoni hanno sfondato le casse di innumerevoli impiati stereo. Chi vi scrive, Guido Micheli detto FURY è l'ideatore, il capitano e l'allenatore in campo di questa squadra, e parlerà di sé in terza persona, giusto per darsi un tono... Dunque gli Iron Maiden (la squadra) hanno due maglie: la prima, artigianale, è bianca con la scritta "Iron Maiden" in rosso, realizzata con una mascherina che riproduce i caratteri tipici della band heavy metal. La seconda è la tipica maglia nera degli Iron, con l'immagini di copertina di un album stampata in grande. Ogni giocatore, indossando la prima maglia, porta sulla schiena un numero tratto da una canzone della band: 666 the number of the beast, 2 minutes to midnight, 7th son of a 7th son eccetera. Le seconde maglie invece riportano le copertine dei divesri album.
La prima apparizione della squadra è avvenuta, come detto, il 13 giugno, nel torneo "Combatti il Razzismo", organizzato dagli anarchici lecchesi. Gli Iron Maiden, purtroppo, sono arrivati ultimi nel loro girone. Hanno subito la prima sconfitta per 1-0 contro i "Gaetano Bresci", una squadra di Monza, e hanno poi persi 2-1 (ai supplementari) contro i lecchesi della Sottons Crew. In questa seconda partita gli Iron hanno segnato il loro primo gol ufficiale: a buttare la palla in rete è stato Fury, il capitano, col numero 22 acacia avenue sulla maglietta. Per evitare l'strema umiliazione gli Iron Maiden si sono giocati tutto contro l'ultima classificata dell'altro girone: Crema. Questa volta arriva una vittoria (la prima) per 1-0. Il gol è ancora di Fury. La squadra più metallara del torneo si classifica così nona su dieci. Per la cronaca: il torneo è stato infine vinto dagli Scappati di Casa, formazione interamente composta da giocatori albanesi che hanno sconfitto in finale la squadra degli Anarchici.

A fine giugno 2010 gli Iron Maiden ci riprovano al torneo del Cag (centro di aggregazione giovanile) di lecco. La prima partita si svolge all'oratorio di San Giovanni contro i Crossing, una formazione di ragazzi africani. I crossing mettono subito in difficoltà gli Iron Maiden segnando il gol del vantaggio. Fury pareggia con un fortissimo tiro dalla distanza, ma i crossing passano in fretta al contrattacco e si portano sul 2-1. Federico riesce a pareggiare ma alla fine gli africani chiudono il primo tempo in vantaggio per 3-1. Nel secondo tempo gli Iron Maiden si sbilanciano in cerca del pareggio e subuiscono il gol del 4.1. Un altro gol di Fury, servito davanti alla porta da Federico su calcio d'angolo, riaccende le speranze, ma poi il Crossing dilaga. La partita finisce 7-3.
Gli Iron Maiden riescono comunque a guadagnarsi il secondo posto nel loro girone, perché vincono una partita a tavolino dato che i loro successivi avversari, i Black Stars, non si presentano sul campo.
Giovano coisì la finale per il o quarto posto. Real Pamachiù-Iron Maiden. La partita è da dimenticare. Gli Iron Maiden perdono 10-0 (qualcuno sostiene 9-0), e si classificano così quarti su sei squadre.

Ultimamente gli Iron Maiden si sono allenati sconfiggendo la squadra degli Hola Guapa in varie amichevoli.
Riusciranno in futuro gli Iron Maiden a partecipare a qualche altro torneo?
Noi siamo qui, pronti a raccogliere sfide!
Il prossimo torneo del Cag di Lecco rischia di non potersi svolgere per mancanza di squadre iscritte. Se vi interessa scrivere a: cag@parchetto.net
In questa foto la formazione degli Iron Maiden fotografati prima di subire la loro più schiacciante sconfitta, il 5 luglio 2010.
In piedi da sinistra: Piè, Corio, Saul, Smilzo, Federico.
Accosciati da sinistra: Fury, Ago.

sabato 19 giugno 2010

Mostra sull'editoria indipendente e illustrazione

Mi è satata segnalata questa iniziativa che mi sembra molto interessante. La "posto" sul mio blog così non solo la tengo in mente anche io, ma contribuisco a dare spazio ai movimenti culturali alternativi che lottano per farsi strada nel nostro Paese. Credo infatti nell'importanza di solidarizzare con altri artisti o aspiranti tali che come me cercano un minimo di soddisfazione in quello che fanno, si tratti di musica, pittura, scultura, cinema o poesia...

G.M.d.Fury

Spazio Gerra - Mostra sull'editoria indipendente e illustrazione


YOUTHLESS FANZINE e ASSESSORATO ALLA CULTURA DI REGGIO EMILIA presentano:

FAN! FUN!
Tra fanzine ed editoria indipendente

25 Giugno - 11 Luglio
Spazio
Gerra

In un periodo storico dove l’informazione è sempre più a portata di click,
visibile a tutti e in qualsiasi istante, la carta rivendica il suo spazio e
l’importanza ottenuta nel corso dei secoli, sia come oggetto fisico, sia come
prova tangibile dell’esistenza della parola scritta.
La riscoperta della lettura attraverso il tatto e l’olfatto.

Nella mostra “FAN! FUN! – Tra fanzine ed editoria indipendente” Youthless
Fanzine, free press di musica e arte attiva dal 2006, in collaborazione con
l’Assessorato alla Cultura di Reggio Emilia, aprirà un piccolo squarcio su un
mondo tanto vasto quanto in disuso, ma attivo più che mai, come quello
dell’editoria indipendente e della libertà di stampa.
L’esposizione comprenderà cenni storici sulla nascita delle prime Free Press,
meglio conosciute come fanzine (fusione di fan e magazine), materiale
espositivo di varia natura
(dall’illustrazione alla parola stampata), il tutto
corredato da concerti, dj set, proiezioni di film, live painting e dibattiti
nelle giornate inaugurali di Venerdì 25 e Sabato 26 Giugno.

Youthless Fanzine esporrà alcune uscite della propria testata, dando largo
spazio a giovani artisti (Alessandro Baronciani, Ester Grossi, Pier
Lanzillotta, Luca Lumaca, Alessandro Vitti) che si muovono tra illustrazione,
grafica e pittura e che hanno realizzato la prima pagina di copertina.
Inaugurazione venerdì 25 giugno alle ore 21.00 con la performance live del duo
elettronico SCHONWALD, band capitanata da Alessandra Gismondi (Pitch e
Vessel).
Sabato 26, a partire dalle 18, l’artista Alessandro Baronciani dipingerà una
parete dello Spazio Gerra, a seguire dibattito sulla libertà di stampa e
l’editoria indipendente con Martina Testa (caporedattrice della casa editrice
Minimum Fax), Paolo Bardelli (giornalista e
membro di Kalporz Webzine). Alle
21.30 proiezione dei video realizzati da Luca Lumaca e del film documentario
“All tomorrow’s Parties”.
Un'occasione per visionare fanzine storiche come Bomp, Ugly Things, Sonic
Death, Maximum rock'n'roll, Flipside e molto altro ancora.

Inoltre verrà allestito uno spazio libero per chiunque sia interessato ad
esporre le proprie fotografie, dipinti, disegni, racconti…Il materiale potrà
essere attaccato direttamente ad una parete ad hoc e, alla conclusione della
mostra, si realizzerà una speciale fanzine che raccoglierà tutto il materiale
pervenuto.

Forza! Vi aspettiamo!

Per ulteriori informazioni e per conoscere il programma completo visitate:

www.youthlessfanzine.com
www.myspace.com/youthlessfanzine


L'indirizzo dello Spazio Gerra è:

Spazio Gerra
Fotografia e immagine contemporanea
piazza XXV Aprile 2 – Reggio Emilia
tel. 0522 456786
spaziogerra@municipio.re.it

In pratica è in pieno centro a Reggio Emilia, esattamente dietro il Teatro
Ariosto, non il Valli.

venerdì 18 giugno 2010

COBRA seconda puntata (di 6)


Come promesso ecco che puntualmente inserisco la seconda puntata illustrata del mio racconto COBRA ! Ricordo che le puntate in tutto sono sei e che ne pubblico una sul blog ogni venerdì (o giovedì o sabato a seconda di impegni/disguidi/distrazioni). L'illustratore della settimana è il bravissimo Stefano Parola. Potete contattarlo al seguente indirizzo e-mail: stword@virgilio.it

Capitolo II

La base dell’organizzazione non poteva essere altro che uno sporco scantinato ammuffito; Charles Logan ebbe subito l’impressione di essersi messo in combutta con degli uomini appartenenti a un gradino inferiore della scala evolutiva. Dovete sapere che Logan era piuttosto, come dire, pieno di sé. Si credeva un duro, una specie di detective privato di quei vecchi film che tanto lo affascinavano. Portava un lungo impermeabile beige, come se il caldo non lo toccasse, un cappello dello stesso colore e scarpe di pelle nera. Aldo si era subito lasciato intimorire dalla personalità di Logan ma Filtro non era il tipo da farsi mettere i piedi in testa. Se ne stava seduto dietro una scrivania che era stata la cattedra di una classe delle scuole elementari del quartiere, fumava l’immancabile sigaretta dalla quale derivava il suo nome; intorno a lui vecchi mobili di metallo arrugginiti e cumuli di cianfrusaglie.
-Siediti- disse a Logan accennando alla sedia posta di fronte a lui. La sedia era a misura di bambino ma Logan era molto alto e il suo busto si ergeva al di sopra del bordo della scrivania.
-L’edificio soprastante era una scuola elementare, quasi tutto quello che abbiamo proviene da lì-
-Lo vedo- fece Logan contrariato, guardando in basso alla sedia che gli era toccata e cercando di mettersi comodo.
-Anche i fogli che abbiamo usato per scriverti… ce ne sono un sacco abbandonati negli armadietti e nelle scrivanie della vecchia scuola. La carta è la nostra unica vera ricchezza-
Aldo se ne stava in piedi in disparte, osservando la scena.
-Voglio essere franco con te- disse Filtro sputando fumo -La nostra organizzazione è giovane, molto giovane, ma seria. Se sei qui è perché ti è arrivata la lettera e hai deciso di arrischiarti a venire, se ti è arrivata la lettera è perché, come ti abbiamo scritto, sei stato osservato e ritenuto idoneo… non contattiamo cani e porci noi…-
Logan emise una specie di grugnito
-Finora i membri dell’organizzazione sono tre: io, Aldo e Cobra. Tu saresti il quarto. L’associazione non ha nome, non serve, deve essere irriconoscibile, dobbiamo essere dei fantasmi negli ingranaggi del sistema. Cobra è il fondatore dell’organizzazione, è l’unico capo, tutti gli altri sono uguali. Non siamo nostalgici di vecchie ideologie politiche, siamo pressoché anarchici, siamo per l’uguaglianza e l’assenza di controllo, siamo contro le gerarchie. Se Cobra è il capo è perché ha degli indiscutibili… diciamo… poteri. Non è un vero capo in effetti, è più che altro un mentore.-
Filtro pronunciava certe parole con una certa enfasi, infervorandosi e aspirando il fumo più forte. Smise di parlare, osservò il mozzicone di sigaretta che aveva in mano e prese a schiacciarlo con violenza nel portacenere, rigirandolo e torcendolo.
-Vediamo ‘sto Cobra- fece allora Logan alzandosi.
-Già- disse Filtro -Andiamo a trovare Cobra-
Fece cenno ad Aldo di seguirli e scese lungo una scala che portava ad una parte ancora più bassa della cantina. Lì sotto il soffitto era basso e Logan doveva chinare leggermente la testa per starci tutto. La cosa che più lo sorprese, tuttavia, fu lo strano ambiente, la strana aria che si respirava laggiù. L’atmosfera era pregna d’umidità e di fumi d’incenso, il luogo era buio, illuminato solo da alcune candele. “Cazzo” pensò Logan “sono stato agganciato da tre aspiranti stregoni”.
Cobra era un negro dalla faccia avvizzita ma era impossibile definire se a devastare la pelle del suo volto fosse stata la vecchiaia, un’ustione, o una violenta forma acneica. Aveva una folta chioma stile afro e portava un paio d’occhiali scuri. Sedeva dietro un tavolo di pietra e sul tavolo vi era un una fanciulla, nera anch’essa, che aveva la gonna alzata e le gambe aperte, non portava mutande.
-Non guardarla troppo- sussurrò Filtro all’orecchio di Logan –Quella è sua figlia-
Logan inarcò le sopracciglia e mosse due o tre volte il labbro superiore con dei rapidi guizzi di nervosismo. Cobra parlò:
-Hai accettato di arrivare fin qua, nella tana del Cobra. Significa che da ora in poi dovrai essere fedele al Cobra, o il Cobra ti darà la caccia. Il Cobra è svelto e velenoso, ricordalo, il Cobra non lascia scampo. Ora tu firmerai un documento, che ti legherà per sempre a me; sarai servo del serpente, ma non sarai più schiavo della corruzione umana-
Cobra estrasse un foglio ingiallito ed una lunga penna d’uccello, insinuò la mano tra le cosce della fanciulla che stava sul tavolo ed estrasse la penna intinta di sangue mestruale. Poi la porse a Logan.
-Che schifo!- urlò Charles Logan arretrando d’un passo –Voi siete matti! Folli! Me ne vado da qui!-
Filtro l’afferrò dal dietro stringendogli il collo e puntandogli la punta di un coltello a pochi centimetri dall’occhio sinistro. Anche se era un ragazzo robusto Filtro era molto più basso di Logan ed afferrandolo in quel modo si era messo in una posizione scomoda. Logan lo colpì con una gomitata e nel frattempo gli torse il braccio. Fuggì su per la scala dalla quale era venuto, sotto lo sguardo spaventato di Aldo Paoli, e in meno di trenta secondi era già in strada. Pensava di essersi tolto dai guai, ma si sbagliava.
Tornò al suo appartamento e lì rimase, pensando a cosa lo avesse portato ad abbandonare l’aeroporto pochi minuti prima della partenza del volo, sgattaiolando fuori dalla zona d’imbarco come un fuggiasco, inventando una poco probabile scusa su un certo bagaglio dimenticato nell’area del check in con la guardia che lo aveva fermato. Riprese quel giornale di tre giorni prima, quello che stava leggendo prima che gli venisse in mente di aprire la lettera che quei matti perversi gli avevano inviato, cercando degli indizi negli avvenimenti di quel giorno, pensando che forse era qualcosa che aveva letto sul quotidiano a far scattare in lui la molla della dissidenza. Perché di quello si trattava: dissidenza. La lettera parlava chiaro; un gruppo clandestino animato da un imprecisato spirito rivoluzionario. Logan ne era stato attratto perché quelle parole lo avevano risvegliato da quel marciume interiore che lo aveva logorato negli ultimi anni. Il marciume. Aveva iniziato a sentirsi imputridire con la società che lo circondava, aveva iniziato a rendersi conto delle brutture del mondo, della politica, della sua nazione, e aveva iniziato a sentirsi trascinato in esse, con esse, da esse, in uno strano, putrido vortice fatto di azioni stantie, vuote, virtuali. Aveva avuto la coscienza di tenere una sorta di diario, uno scrap book, un quaderno di ritagli di giornali dove collezionava tutti gli articoli che gli facessero pensare al mondo in cambiamento, e quasi quotidianamente annotava sul suo quaderno, di fianco agli articoli, appunti della sua vita personale, appunti della sua esistenza in divenire. Era così che si era reso conto di come la sua nazione fosse precipitata in uno stato di dittatura, e la cosa gli era sembrata spaventosa e interessante. I leader avevano preso le distanze dai vecchi regimi, non avevano compiuto azioni eclatanti, colpi di stato o azioni di forza visibili. No, si erano invece insediati silenziosamente, subdoli, e gradualmente. Avevano cominciato con l’utilizzo dell’esercito per motivi di sicurezza, dopo aver inculcato nei cittadini l’ossessione dell’emergenza criminalità, e così di limitazione in limitazione, di controllo in controllo, si era arrivati al punto in cui ogni restrizione della libertà personale, anche la più pesante forma di coercizione fisica e intellettuale, erano tollerate. La testimonianza ultima stava nei più recenti articoli di giornale che aveva ritagliato: pian piano, mentre la carta diventava un bene sempre più raro, i giornali “scomodi” sparivano e quelli che sopravvivevano si riempivano di inni alla nazione, prorompevano in lodi in favore di un benessere inesistente. Più che di giornalismo si trattava di propaganda. Logan era un uomo solo e consapevole. Si ricordò del perché stava partendo, tre giorni prima: voleva andare a Roma, la città eterna, e cercarsi un nuovo lavoro, cambiare aria. Si connesse alla rete e comprò un nuovo biglietto, il primo volo per la capitale, che partiva di lì a tre ore. Rifece in fretta la valigia che aveva solo parzialmente disfatto e uscì dall’appartamento. Arrivato al piano terra il portinaio lo chiamò per nome:
-Signor Logan!- disse.
Con lui c’erano due uomini robusti e ben vestiti. Logan fece il sordo e tirò dritto.
-Signor Logan!- fece il portinaio alzando la voce. I due uomini lo seguirono e lo fermarono con le cattive, afferrandolo per le braccia, facendogli cadere la valigia.
-Polizia- disse uno mostrandogli un distintivo
-Deve venire con noi- fece l’altro
Logan non oppose resistenza, era stanco. Lo caricarono su di un’automobile grigia, una BMW. “Ecco un’altra differenza” pensò “Il nuovo regime non bada all’autarchia”
Per le strade semideserte la potente automobile procedeva veloce, erano anni che Logan non saliva su una macchina, e sentì un certo mal d’auto.
Alla centrale gli chiesero perché tre giorni prima non aveva preso il volo che aveva prenotato, cosa c’era scritto sulla lettera che aveva letto all’aeroporto, con chi si era incontrato quel giorno. Logan fece il muto, e fu rilasciato dopo poche ore con un documento che gli impediva di lasciare la città per un mese.