lunedì 26 luglio 2010

IO CI FUMO SOPRA (leggi e commenta)

Dunque, non so bene chi esattamente legga il mio blog ma devo supporre che qualcuno sappia più o meno chi sono: Guido Micheli (per qualcuno Fury. Qualcuno addirittura mi chiama "Il marcio", ma a me non piace molto...), autore della raccolta di racconti Io ci fumo sopra e inventore della fanzine letteraria Le tre piume. Gran bevitore di birra. Gran fan dei Ramones. Posto questo post per tornare a parlare del mio libro: secondo il mio editore non sto vendendo molto. Che cazzo devo farci? Beh qualcosa potete farci voi... avete letto Io ci fumo sopra? Sì? Bene, allora potete andare su uno dei siti sottoindicati e lasciare un commento, una recensione, o dare un voto al mio libro.
Se non l'avete ancora letto potete fare due cose:
1) Procurarvelo e leggerlo.
2) Chiudere immediatamente questo blog e non tornarci più.

Ecco i links dei siti per dare voti o scrivere recensioni a Io ci fumo sopra:


http://www.poesieracconti.it/community/libri/

http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/racconti/io-ci-fumo-sopra/

http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-micheli_guido/isbn-9788895106755/io_ci_fumo_sopra_.htm

http://www.ibs.it/code/9788895106755/micheli-guido/io-ci-fumo-sopra.html?shop=5313

venerdì 16 luglio 2010

COBRA ultima puntata (di 6)

Siamo giunti all'ultima puntata di questo racconto che per ben sei settimane è apparso suo mio blog in sei rispettive mini-puntate. Ciò non vuol dire che nuovi eventuali lettori non possano tornare indietro e godersi pezzo per pezzo l'atroce avventura di Cobra e compagni. Buona lettura e... attenti alle telecamere!!!


Capitolo VI
Non aveva mai provato nulla di simile, non aveva mai sentito la sua esistenza tanto in bilico, mai si era sentito così vulnerabile, così vicino al fallimento. Camminando a testa bassa per le strade, scrutando l’asfalto dei marciapiede per concentrarsi meglio, Cobra pensò a come aveva potuto ridursi sul lastrico. Ragionò e concluse che le sue dissennate ricerche lo avevano portato a non considerarne le spese, ad allontanarsi dal reale per rifugiarsi nella fantasia di qualcosa che fosse suo fuori dal mondo che avrebbe dovuto conquistare. Un uomo senza denaro non può far altro che chiedere aiuto. Ma prima voleva tentare il tutto per tutto, compiere il gesto estremo, il gesto del non ritorno che gli avrebbe dato la forza di ottenere ciò per cui, altrimenti, qualsiasi uomo sarebbe stato troppo debole. Tornò a casa di Filtro ed ordinò che gli fosse fatto quel che a Filtro era stato fatto. Si accoppiò selvaggiamente con Sheena e, mentre giungeva all’orgasmo, prese a urlare spasmodicamente: -Ora!! Fallo ora!!-
L’uomo cui aveva tirato il collo gli rese il favore ed un attimo dopo il negro giaceva sul letto come un amante spossato dal troppo sesso.
-Ci devi dare la tua droga- gli dissero in coro i suoi seguaci non appena aprì gli occhi.
-Non ne ho più- rispose -ed è per dimostrarvi che se non ve ne do è solo perché non posso che mi sono messo nella vostra stessa condizione, contagiato dal veleno che io stesso ho creato, ed insieme a voi che non potrete più farne a meno, sarò pronto ad ogni azione. Siete pronti a seguirmi?-
Anche Cobra era umano. La sua umanità affiorava talvolta sottoforma di angosciati pensieri che riguardavano soprattutto la natura delle persone. Poteva turbarsi, ad esempio, nel reincontrare un vecchio conoscente, riconoscerne la faccia, ma sentirsi del tutto ignorante di quel che quella faccia celava, come se i volti fossero maschere prese in prestito dalla collezione di un costumista di film dell’orrore. Era forse per questo che la sua febbrile ricerca nel mondo delle erbe mirava al confezionamento di un farmaco in grado di far affiorare il lato selvaggio di chi lo avesse assunto? Era forse quel lato selvaggio l’immagine dell’uomo senza maschera? I dubbi gli rimasero appiccicati addosso anche dopo essersi infettato della sua stessa pozione. Ma un farmaco per passare alla storia deve creare dipendenza, ed è per questo che Cobra si stava recando dal suo spacciatore di materie prime. Doveva far presto, o l’astinenza lo avrebbe ammazzato prima che il suo nome potesse essere inciso al lato di quello del creatore dell’ LSD.
Cobra decise di cercare un suo vecchio compagno: Fulvio Marcio. Era l’uomo più mascherato che conoscesse. Nel 2039 aveva scritto un libro intitolato Riflessioni milanesi che gli aveva causato molti problemi. Non era stato incarcerato, torturato o deportato ma sì era stato diffamato, sfrattato e licenziato. Le voci ingiuriose che lo avevano portato al pubblico vilipendio gli erano piombate addosso da chissà dove, forse da molteplici fonti che avevano poi prodotto innumerevoli schizzi, ma certamente avevano origine in alto, anche se non si sa quanto in alto. Il suo era un libro composto da piccoli episodi esemplari o brevi riflessioni a sfondo sociale e aveva avuto una certa presa su un discreto pubblico. Cobra si avventurò angosciato per le scale del fatiscente palazzo senza portiere, nel marcescente quartiere di Lambrate, fino alla porta della casa di Fulvio Marcio, intellettuale orgogliosamente esiliatosi in un covo di battone maleodoranti e magrebini dall’indole violenta. Non si vedevano da anni, ma nessuno dei due era molto cambiato. Fulvio accolse la sua visita con sufficienza, e non c’era di che stupirsene. La loro amicizia si era rotta quando Fulvio aveva deciso di condurre la sua lotta personale con l’intelletto, con la teoria e le parole, mentre Cobra aveva scelto di diventare un stregone. Ora che era all’apice della sua carriera di farmacista woodoo, ora che era riuscito a mettere a punto un composto infettivo che trasformava i morti in belve affamate di carne cruda e di sesso, ora che si era convertito anche lui in animale, si ritrovava a dover fare i conti con il più artificiale dei bisogni: il bisogno di soldi. Se non avesse comprato al più presto le materie prime per confezionare il suo farmaco il suo corpo si sarebbe velocemente corrotto ed avrebbe visto i vermi proliferare nelle sue carni. Ma tutto ciò che Fulvio aveva da offrirgli era il penoso spettacolo di se stesso che cercava di tagliarsi le vene dei polsi con un coltello da cucina poco affilato.
Non appena lo vide Cobra capì che la sua ultima speranza di racimolare qualche soldo si stava suicidando e fece appello a tutto ciò che in lui era rimasto di umano per convincerlo a non togliersi la vita.
-Mi hanno tolto tutto!- si lamentava Fulvio Marcio –Se non posso più scrivere non c’è più un senso, non c’è più un senso, non c’è più…- e continuava come un disco inceppato. –Vuoi dei soldi?- disse a Cobra tra le lacrime –Li ho spesi tutti per comprarmi quel computer portatile- e fece cenno al pc che stava sul tavolo. –Non trovavo più carta per scrivere… capisci a cosa siamo giunti?? Non c’è più carta, devono aver abbattuto l’ultimo albero dell’Amazzonia! Poveri noi, poveri noi poveri noi… Così ho preso i miei risparmi a e ho comprato un computer. Per scrivere, capisci?? Per scivere. Se non che, ecco, mi metto a scrivere e mi si cancellano le frasi, o si modificano o vengono fuori degli strani avvisi “pensiero non autorizzato”. Ed ecco che capisco quel che avrei dovuto capire prima: l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, e sono riusciti ad installare in ogni computer un programma in grado di riconoscere le frasi sovversive e ad eliminarle o modificarle per rendere innocuo tutto ciò che viene scritto. E io cosa faccio adesso?? Cosa??-
Cobra riuscì a calmarlo dicendogli –guardami amico, guardami in faccia, sono messo peggio di te - e lo convinse a preparargli un caffè.
Mentre l’altro si trovava in cucina a preparare una grande moca, Cobra cercava di concentrarsi per mettere a buon frutto quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime ore di vita. Guardava senza troppo interesse i libri ingialliti di quello studioso appassito ed il viscido serpente che sibilava nelle sue budella gli diceva di aspettare che il caffè gli fosse servito per poi ucciderlo e bersi una doppia razione. Il suo sguardo cadde però su una copia di Riflessioni milanesi che stava sul tavolo; il libro scritto da quello che era stato una volta simile a un amico pareva chiedergli di aprirlo e così, più per istinto che per curiosità, Cobra cominciò a leggere una pagina a caso, una delle tante riflessioni che a Fulvio erano sembrate a lor tempo importanti e che invece si erano disperse come fumo nell’aria. La riflessione che si ritrovò a leggere era:
IN TRENO SIAMO TUTTI UGUALI
Devo andare a xxx. Il mezzo migliore, mi pare, è il treno. Mi reco quindi alla Stazione Centrale di Milano, una stazione affollata e pregna di odori: sudore, merda di piccione, piscio umano, polvere datata divenuta ormai fossile, fumo… La cosa che odora di meno, qua dentro, è il cibo dei chioschi. Eppure credo di aver letto su un libro della prima metà del ‘900 una descrizione piuttosto suggestiva dell’aroma emanato da un piatto di fagioli ben conditi. Sul dizionario ho trovato anche parole come “fragranza” e “succulento”, ma credo che ormai possano essere ascritte all’albo degli arcaismi.
Quando salgo in carrozza il treno per xxx si sta affollando. Mi approprio di un posto a sedere, uno degli ultimi rimasti liberi, mentre il corridoio del vagone si popola di persone costrette a rimanere in piedi. Ecco che tra la gente si fa largo un bellimbusto assai distinto: scarpe lucide, pantaloni da negozio stile “vietato l’ingresso ai non abbienti”, giacca da stilista gay, borsa più costosa di tutti gli oggetti che riempiono la mia, gel per capelli che deve valere più di tutti i miei pasti della domenica dei miei ultimi dieci anni. Questo bellimbusto cerca di farsi largo per il corridoio, spinge, chiede permesso e si sorprende che non gli cedano il passo tanto facilmente. Quando giunge all’altezza del mio sedile s’imbatte in una piccola signora dalla pelle scura e raggrinzita dalle inclemenze di una vita passata ai piedi della scala sociale. Scorgo sorpresa sul suo volto, perché la signora non si scosta per lasciarlo passare. Chiede permesso e gli viene risposto che “non vede? è tutto pieno, dove vuole andare?” Zittito da una donna dall’accento straniero l’elegantone abbassa gli occhi al vecchio sudicio strafatto di whisky scadente che ha trovato posto lì accanto, e siede come un re sul suo trono; il suo bagaglio è un sacchetto della spesa strappato. Il bellimbusto stringe a sé la sua borsa elegante che chissà cosa contiene; dal volto triste di quest’uomo ben vestito e pettinato ricavo una riflessione: in treno siamo tutti uguali.
Quanti anni erano passati da quando Fulvio Marcio aveva scritto quelle cose? Tanti. Abbastanza da cambiare drasticamente la realtà che descriveva. Ora che le fonti di energia stavano esaurendosi le vecchie stazioni ferroviarie erano il covo di indigenti cenciosi e cani randagi. A soli duecento metri dalla casa di Fulvio Marcio, nella stazione di Lambrate, si aggiravano donne di malaffare per straccioni che si accoppiavano con chi non aveva altro da offrire se non gli ultimi residui di vita, donavano loro un ultimo brivido, si prendevano i loro ultimi schizzi di sperma rancido e li uccidevano al riparo di qualche vagone abbandonato, per cuocere le loro cosce su falò di spazzatura bruciata. A volte si vedevano le colonne di fumo di qualche vecchio treno che prendeva fuoco, dense e nere si alzavano in cielo, sullo sfondo gli aerei che ogni cinque minuti partivano dai diversi aeroporti bruciavano ad alta quota quelli che dovevano essere gli ultimi barili di carburante, che però sembravano non finire mai.
Una linea ferroviaria ancora in funzione, però, era rimasta. Era una linea di treni veloci e costosi, una linea di treni di lusso che collegava le principali città del paese. A Milano partivano due treni al giorno, dalla Stazione Centrale, l’unica ancora tirata a lustro, più limpida e profumata di quando era stata costruita, quella stessa stazione in cui Fulvio Marcio aveva preso il treno all’epoca delle sue Riflessioni milanesi, quella stazione che l’intellettuale fallito aveva visto come simbolo della democrazia e dell’uguaglianza ora era un luogo d’elite, dove per comprare un biglietto bisognava essere ricchi sfondati. L’alternativa, per la gente comune, erano gli aerei sovraffollati delle grandi compagnie, o le proprie gambe.
Nella Stazione Centrale tutto era sterilizzato e disinfettato, le sfumature di grigio dei marmi facevano da contrappunto con i grandi schermi pubblicitari colorati e con le vistose vetrine, decine di persone che avevano scelto la strada del consumo e del benessere ai danni di milioni di straccioni camminavano come sotto ipnosi verso i binari. Chi era più morto? Quelli che là fuori si consumavano trascinandosi in una vita di fame, malattia ed alcolismo o questi ricchi lobotomizzati dai messaggi promozionali e dai marchi delle industrie di vestiti di lusso? Le telecamere di sicurezza colsero Cobra mentre era impegnato in tali ragionamenti. Il suo aspetto infetto aveva dato nell’occhio in mezzo a tanta igiene, il suo incedere storto era troppo diverso dal passo di quelli che camminavano instupiditi con lo sguardo incollato agli schermi e i cervelli in un cortocircuito di messaggi subliminari come “compra la nostra nuova fragranza alla violetta, gli uomini profumati non fanno i cattivi”. Una guardia gli sbarrò il passo e gli chiese dove vai negro, ma poco dopo la stessa guardia aveva un morso sul collo e uno zampillo di sangue risaltava molto bene sul marmo del pavimento. Cobra fu abbattuto dai manganelli elettrici. Come un animale.
Quasi subito anche Sheena era entrata in stazione e forse solo grazie al trambusto causato da Cobra era riuscita a prendere posto in un vagone. Si era seduta mettendo in mostra le sue cosce colorite lasciate scoperte dalla gonna minuscola e strappata, ma nessuno l’aveva vista; sopra ogni sedile c’era uno schermo che mandava sempre le stesse tre pubblicità per tutta la durata del viaggio, per due ore, per tre ore, per sei, e una volta arrivato a destinazione la prima cosa che avresti cercato sarebbe stato il nuovo profumo alla mimosa le donne profumate scopano meglio o le nuove mutande di Dolce&Compare agli uomini che le indossano si ingigantisce il pacco. Così l’unico che notò quella pantera scollata fu il controllore che le chiese “biglietto signora” e lei allungò la mano per dare al controllore un biglietto che non aveva mentre il controllore le porse la sua per prendere un biglietto che non esisteva, e ci rimise due dita. Sheena masticò le sue falangi come fossero patatine fritte mentre gli uomini della sicurezza piombavano nel vagone inorriditi. Dovettero spararle una ventina di volte per fermarla. Anche un passeggero ci rimise cranio e cervello, due schermi pubblicitari andarono in frantumi.
Filtro si mantenne fedele al suo stile: si avvicinò ad un uomo in tenuta business che, in un angolo dell’atrio della stazione, fissava la pubblicità di una nota marca di sigarette. -Hey amico- gli chiese
–Non è che hai una paglia?- Questi lo guardò con sguardo vuoto e gli porse, con un gesto lento e svogliato, una sigaretta.
-Hey- protestò Filtro –Che cazzo è ‘sta merda? È di plastica-
-È una sigaretta elettrica- fece il businessman apatico –È proibito fumare tabacco nell’atrio. Le sigarette elettriche, invece, si fumano ovunque e questa è carica di supernicotina, quando tiri si accende la lucina sull’estremità, come se stessi fumando sul serio.-
-Puoi tenertela la tua schifezza elettrica, ne voglio una vera, capito?- urlò Filtro alterato, e mentre strillava estrasse una lama lunga una spanna e mezza. Il suo volto si fece più bestiale di quanto già non fosse, abbastanza minaccioso da scuotere il signor business dalla sua indifferenza. –Le hai o non le hai le sigarette vere?- chiese avvicinandogli il coltello al collo
- L-le ho – fece l’altro spaventato, e con mano tremante gli si frugò nelle tasche. Filtro si prese l’intero pacchetto, ringraziò e lo stese con una testata. Si accese una sigaretta, una vera, e diede un tiro profondo, chiudendo gli occhi per gustarselo di più. Non vide arrivare i poliziotti, né la grandinata di manganellate che si abbatté su di lui. Mentre lo trascinavano via, Filtro teneva ancora in mano la sigaretta accesa, e sorrideva.
Nel frattempo Aldo Paoli faceva ancora una volta il suo ingresso nell’ufficio del direttore dell’aeroporto 7. Era esattamente come lo aveva lasciato: gli stessi quadri che stavolta gli sembrarono orrendi, lo stesso odore, che stavolta gli sembrò più forte: odore di soldi, di ricchezza, di sigaro. Un odore eccitante. Aldo Paoli si sedette prima che il direttore lo invitasse a farlo.
-Signor Paoli. Ci siamo visti solo quattro giorni fa, perché lei aveva dato cenni di comportamento anomalo. Ora, lei ha accumulato quattro giorni di assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, omissione punibile per legge con tre mesi di carcere per ogni assenza più l’aggravante che consiste nel fatto che il suo era un lavoro di alta responsabilità, il che significa raddoppio della pena. Certo, se lei si fosse presentato nel mio ufficio vestito decentemente, con una buona giustificazione, pronto a scusarsi e mostrandosi abbastanza lucido per riprendere il suo lavoro, io avrei potuto essere clemente… ma cosa dovrei dire, invece? Si guardi; ha un aspetto improponibile, signor Paoli, impr…-
Aldo Paoli emise un ruggito, e saltò dall’altra parte della scrivania. Afferrò il direttore per la giacca verde e mentre lo strozzava con la sua stessa cravatta blu gli si ingrossavano le narici riempiendosi dell’odore del gel per capelli della sua vittima che spirava con un’espressione sbigottita dipinta in volto. Poi si sedette al posto del direttore, cominciò ad esplorare gli oggetti di lusso sparsi sulla scrivania. Pochi essenziali oggetti di lusso, e tra questi una scatoletta di legno. Quando vennero ad arrestarlo lo trovarono come in estasi, mentre ne odorava il contenuto: odore di soldi, di ricchezza, di sigaro. Alle sue spalle gli orrendi quadri erano stati rimossi dalle pareti; al loro posto Aldo Paoli aveva messo il direttore, appeso per la giacca, coi chiodi.
Nella saletta di controllo il sostituto di Aldo Paoli sorseggiava un energy drink e fissava nervosamente i monitor. Un uomo seduto nell’area d’imbarco attirò la sua attenzione: aveva il volto rovinato da qualche tipo di malattia e si guardava intorno come un animale che si sente braccato. D’un tratto Charles Logan si voltò verso la telecamera di sicurezza, e mostrò dito medio. Se l’uomo al di là del monitor avesse saputo leggere il labiale avrebbe inteso che nel far quel gesto Logan sussurrava:
non c’è più un luogo in cui fuggire…


FINE!!



venerdì 9 luglio 2010

COBRA quinta puntata (di 6)


Eccoci alla penultima puntata di Cobra, il mio ultimo racconto. La parte conclusiva uscirà su questo blog venerdì prossimo.
Illustrazione di Stefano Parola.


Capitolo V
Anche Aldo riaprì gli occhi, anche lui con una fame da lupo, ma, soprattutto, senza sentire il suo cuore risvegliarsi con lui, sentendosi in qualche modo svuotato del soffio vitale, e forse della stessa anima. Aveva i vestiti a brandelli, e se si fosse guardato avrebbe notato che le sue carni erano alquanto deturpate. Ma non ci pensò, non si lasciò impressionare dal sangue che tinteggiava le pareti, il letto, il pavimento, a chiazze, a gocce, a schizzi. Uscì zoppicando dall’appartamento, come se avesse sempre camminato così, e si trascinò giù per le scale. Le strade gli parvero buie, poi accecanti, come in un primo pomeriggio d’un agosto assolato. Attraversando piazza Sant Alessandro vide venire, dal lato opposto, una vecchia trascinata dal barboncino bianco che la teneva al guinzaglio. Guardò il cane con odio e gli si fece incontro con passo claudicante. L’abbaiar che fece l’animale vedendoselo venir contro accese ancor di più i suoi spiriti di fuoco, gli si gettò addosso e lo mangiò lì dove l’aveva acchiappato, incurante degli urli della beghina sua padrona.
Nessuno mosse un dito per quel cane; le telecamere erano lì, e vedevano tutto, le pattuglie giravano nella strada accanto, ma non successe nulla. Solo apparvero Sheena e Logan, per nutrirsi delle carni della vecchia; le strapparono di dosso la sua pelle flaccida, gli rimasero le rughe tra le dita. Aldo guardò loro negli occhi, e loro guardarono lui.
Tre milioni di persone vivevano a Milano, e vi erano circa quattro milioni di telecamere. Logan aveva sognato di fracassarle tutte una volta; lui non lo sapeva ma Aldo aveva sognava la stessa cosa. Ad Aldo gli occhi di Cobra avevano ispirato fiducia; sempre coperti dagli occhiali scuri… non pareva che ti guardassero. Non se n’era reso conto, ma in realtà gli occhi di Cobra non li aveva neanche mai visti. In quei giorni Cobra camminava nervoso per la sua cantina, misurandola con le suole callose dei suoi piedi scalzi. Logan e Sheena non c’erano, Aldo Paoli non era più tornato al covo, Filtro si palesava quasi quotidianamente, ma aveva l’aria nervosa e incazzata, e non lo trattava più come un mentore. Un giorno Filtro bussò alla porta dello scantinato ma Cobra non venne ad aprire. Aspettò mezz’ora sul marciapiede, fumando sigarette, e finalmente arrivarono due grossi occhiali scuri, davanti ad un volto ruvido circondato da una criniera di capelli ricci, e con quel volto il resto dell’uomo che stava aspettando.
-Ciao Filtro- disse Cobra aprendo la grossa porta di ferro
-Ciao-
Quando furono nel covo Cobra si diresse a passi lenti verso il suo abituale tavolaccio di pietra, verso gli angoli bui dove passava le ore a rimescolare erbe, radici, funghi e quant’altro, ma Filtro, seguendolo da vicino, era deciso a non lasciarlo andare a nascondersi nell’ombra.
-Cosa facciamo?- gli chiese con tono più minaccioso che interrogativo, quasi alitandogli nell’orecchio
-Nulla, per ora-
-Sono giorni che non facciamo nulla. Io ho ucciso Logan e Sheena, l’ho fatto perché me l’hai chiesto tu. Ma perché? E perché Aldo non si vede più?-
-Logan e Sheena devono essere in giro, prima sono uscito a cercarli, ma non ho idea di dove possano essere andati-
-Cooosa?- fece Filtro alquanto indispettito –Io li ho uccisi entrambi! Dubiti che l’abbia fatto sul serio?-
-Io spero che tu l’abbia fatto- replicò Cobra – e, se l’hai fatto, spero che siano ancora in giro-
-Mi prendi per il culo?- strillò Filtro afferrandolo per la camicia e dandogli uno scossone.
-La droga che ho dato ad Aldo- disse Cobra in fretta, perdendo la sua aria da serpente velenoso per quella d’un verme supplichevole –se ha fatto effetto Logan… e Sheena… dovrebbero essere, non dico vivi, ma… attivi, e affamati-
Filtro rimase per un momento immobile, stringendo il colletto di Cobra tra i pugni tanto serrati che le mani cominciarono a fargli male, fissandogli addosso due occhi sbarrati e sporgenti, di pietra.
-Tu sei pazzo- disse infine lasciandolo andare, facendo due passi indietro e sputandogli addosso con stizzoso disprezzo. Poi voltò le spalle a Cobra, pensando di lasciarlo come si lascia una parte della propria esistenza relegandola per sempre in un album di foto intitolato “passato”.
-Vedrai!- gli urlò Cobra mentre già la sua ombra spariva ad di là della porta dello scantinato -Vedrai!!-
Filtro si sedette esausto sul divano che occupava per tutta la lunghezza una parete di quel buco che chiamava casa, con una birra calda in mano ed una sigaretta tra le labbra, e osservava lo scaffale dei suoi tesori: vecchi film in dvd, alcune rarissime videocassette, fumetti dalle pagine ingiallite, libri. Pensava che il futuro non era come se l’erano immaginato i grandi registi d’un tempo: la terra non era stata inghiottita dalle acque come in Waterworld, non c’erano le bizzarre tecnologie di Nirvana, e non era nemmeno tanto terribile come in 1984, per fortuna. Certo che quel libro era, tra le tante premonizioni, quella più valida, perché aveva predetto quali sarebbero stati gli strumenti del potere repressivo e l’inutilità di tentare ad opporvisi. Forse non si era giunti alla situazione vaticinata da Orwell solo perché non ce n’era stato bisogno, perché l’umanità si era rivelata più docile del previsto… o no?
Filtro se ne stava perso in queste inconcludenti riflessioni, stordito dalla calura della giornata, quando sentì bussare alla porta.
-Andate via!- urlò, quasi piangendo, oppresso com’era dal peso del suo divagare. Ma il bussar dal di fuori non cessò, anzi, continuò costante ed insistente, con il sinistro assillo d’un richiamo dall’oltretomba. Quando il rintocco dei colpi sul legno della porta gli ebbe invaso la testa come un rimbombo amplificato ad ogni eco, s’alzò snervato e spalancò nervosamente l’uscio.
Dapprima riconobbe Aldo, o quel che ne rimaneva; un uomo ricurvo s’un lato a malapena coperto da pochi stracci sbrindellati, e sotto quegli stracci sporchi ferite luride di sangue rappreso. A Filtro andò di traverso l’ultima sorsata di birra e fu costretto a tossire forte e a fare quello che mai avrebbe fatto in situazioni ordinarie; lasciò cadere la sua sigaretta ed indietreggiò dandosi forti colpi sul torace, come a voler sputare la bevanda maltata che gli era andata giù per il tubo sbagliato. Quei pochi passi indietro gli permisero una visione più completa di coloro che erano venuti a fargli visita. Se si potesse pensare agli stipiti di una porta come ad una cornice si direbbe che a Filtro si presentò il quadro di un pittore psicopatico con uno spiccato senso dell’orrido e del meticcio. Da un lato la figura che abbiamo descritto, dall’altro colui che a suo tempo si era fatto chiamare Charles Logan, solo un po’ più pallido, d’un pallore messo in risalto dalle macchie livide che gli si gonfiavano in volto. Tra i due Sheena avanzava più come una pantera che come la ragazza che era stata e dietro di loro un Cobra dalla ritrovata imponenza, rianimato da un nuovo senso di viscida velenosità, pareva guidarli non come un pastore che conduce le sue pecore ma come un falconiere che libera il suo rapace.
-Prendetelo!- urlò, allungando un dito nero tempestato di anelli ingioiellati.
-N-no!- balbettò Filtro con voce strozzata, mentre Logan ed Aldo gli si facevano incontro più brutti che mai. Lo presero per le braccia, uno a destra ed uno a manca, nonostante i pugni e lo smanacciare che fece, gli si avvinghiarono indosso come bestie, come scimmie che si aggrappano al ramo. Poi si fece avanti Sheena, alta e sfrontata, ma non meno sciupata degli altri, coi capelli arruffati da strega, o da vecchia trasandata. La carne del suo volto, quella parte che sta sopra le guance ed appena sotto gli occhi, era insolitamente incavata ed il suo sorriso aveva un’aria malaticcia o malsana. Puntò dritto ai suoi blue jeans slavati, alla cerniera dei suoi pantaloni scoloriti, incurante dello scalciare e dei “che cazzo!” di Filtro.
-Stai fermo, brutto tabagista!- gli disse Aldo sfiorandogli il volto con le labbra, investendolo di un alito pestifero, mentre con una mano aiutava Sheena a trargli il pene fuor dalle mutande. Sheena gli gettò le braccia attorno al collo e gli si arrampicò addosso stringendo le cosce intorno alle sue ossa iliache ed i polpacci appena sotto le sue natiche, Aldo prese tra le dita il suo uccello e lo accompagnò nella vagina della negra. Dapprima Filtro non provò alcun tipo di eccitazione, ma solo un certo senso di repulsione. Poi sentì il suo pene gonfiarsi, lentamente, cominciare a pulsare, a riempirsi di sangue. I movimenti pelvici di Sheena che pareva gustarsi il suo organo sessuale come la più dolce delle squisitezze e l’impossibilità di opporre resistenza a quell’atto sessuale, perché Aldo e Logan lo tenevano inchiodato al pavimento, lo spinsero alla deriva in un vasto mare erotico e scarlatto. Chiuse gli occhi dimenticando il lato mostruoso della creatura con cui stava chiavando mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi. Quando però tornò a sollevare le palpebre si vide davanti un faccione che lo guardava con due occhi grandi, rossi e sporgenti; due occhi che aveva sempre avuto vicino, ma che non aveva mai potuto vedere. Non fece in tempo a dir nulla; con un movimento deciso Cobra gli afferrò il capo con entrambe le sue robuste mani e gli girò il collo torcendolo oltre gli umani limiti, godendosi il secco scricchiolio delle sue vertebre cervicali. Poi si rimise gli occhiali scuri e gli voltò le spalle.
Se la sua supposizione era esatta Cobra avrebbe presto dovuto soddisfare la dipendenza fisica di quattro creature affamate, pronte a tutto pur di avere la sostanza che avrebbe permesso loro di non putrefarsi come cadaveri ambulanti. Se il contagio si fosse trasmesso anche per via sessuale presto anche Filtro sarebbe diventato feroce come Sheena, livido come Logan, ributtante come Aldo, e come gli altri tre, bisognoso delle sue mani esperte nel maneggiare mandragole e stramonie. Cobra lasciò gli altri nell’appartamento e, una volta in strada, telefonò ad un suo garzone di fiducia per ordinare una cospicua quantità delle materie prime necessarie per la preparazione del suo farmaco. Quando ebbe chiuso la conversazione si recò allo sportello di un bancomat, inserì la sua carta di credito, digitò il codice e richiese un sostanzioso prelievo. Ma a questo punto ebbe una sorpresa delle più indesiderate. La scritta sullo schermo gli disse che il suo credito era esaurito. Cobra sbiancò (per quanto possa sbiancare un negro), ripeté l’operazione, richiese il contante altre due, tre volte. Mentre, sudato per l’agitazione, colpiva più forte i tasti della macchina automatica, un agente della sicurezza uscì dalla banca e gli si accostò con fare severo
-Qualche problema, signore?- gli chiese studiandolo
Cobra capì che lo avevano osservato attraverso i monitor e gli occhi vitrei delle telecamere, e il suo comportamento aveva destato sospetti.
-N-no- rispose nervosamente, e s’allontanò schivando ulteriori domande.

venerdì 2 luglio 2010

COBRA quarta puntata (di 6)


In extremis, posto la puntata del venerdì del mio racconto Cobra.
Questa volta l'illustrazione è opera di And.
Buona lettura e buon fine settimana a tutti!.





Capitolo IV


Aldo Paoli se ne stava seduto nella parte più bassa dello scantinato, la parte dove dimorava il Cobra, e occupava il pomeriggio fumando, e mangiandosi le unghie tra una sigaretta e l’altra. Cobra mescolava chissà quali sostanze: agenti chimici, erbe, polverine…
Filtro arrivò trafelato, sudato, giù per la scaletta, svegliando Aldo dal suo torpore.
-Fatto- disse attraversando la cantina
Cobra lo squadrò. Poi chiamò a sé Aldo
-Se Filtro ha fatto il suo dovere- disse –troverai due cadaveri a questo indirizzo- gli allungò un biglietto -Vai ed inietta nelle vene dei due corpi cento millilitri di questo-
Cobra gli porse due siringhe e due boccette. Contenevano un liquido ed avevano quei tappi che si possono bucare con l’ago; mentre le prendeva ad Aldo tremavano le mani.
-Non farle cadere!- lo ammonì Cobra
Filtro si passò la mano destra sulla testa rasata, poi si annusò il palmo: “mi suda anche il cranio” pensò schifato.
-D-due cadaveri?- balbettò Aldo dopo alcuni attimi di silenzio
-Muoviti- disse Cobra lentamente –E tu, Filtro, dagli le chiavi dell’appartamento-
-Il portinaio è un rompi coglioni- lo avvertì Filtro –Liberatene in fretta-

Si era ormai fatto buio; per le strade c’era un po’ più di gente che di giorno, gente che approfittava delle ore meno calde per andare a bere una birra ghiacciata. Uscendo dal covo Aldo incrociò la gattara della zona; era una donna anziana, che usciva solo di notte, portava dei lunghi rasta bianchi che le scendevano dal capo fin sotto al culo, era quasi del tutto sdentata e chiamava i gatti di strada per nome. Aldo giunse all’indirizzo, oltrepassò la soglia del portone e un brivido freddo gli gelò il sudore di quella calda serata; era il pensiero che avrebbe visto due cadaveri. La portineria era vuota ma il portiere aveva lasciato un biglietto: “Torno subito, sono in bagno”. Aldo ringraziò la sorte d’avergli scansato un ostacolo dal cammino. Infilò in fretta le scale, per evitare che, mentre aspettava l’ascensore, il portinaio tornasse, e per non rimanere troppo tempo sotto l’occhio della telecamera che vigilava l’ingresso. Quando fu nell’appartamento un misto di orrore e sorpresa investirono Aldo come una vampata; si richiuse in fretta la porta alle spalle e contemplò quel macello. L’appartamento era a soqquadro, ma quello era il meno. Si aspettava di trovare due cadaveri ed, in effetti fu così; quello che non si aspettava era che si trattasse di Logan e Sheena. Il primo era steso sul pavimento, la seconda sul letto; all’apparenza erano stati picchiati a sangue. Due domande si affacciarono nella testa di Aldo: come aveva fatto Filtro a farli fuori da solo, senza usare armi? E come mai Cobra aveva voluto la morte di sua figlia?
Aldo richiuse la porta del cervello, per non farvi entrare altre interrogazioni, e scacciò quelle che già vi si erano addensate. Chinatosi sul fu Charles Logan estrasse una delle boccette ed una siringa, aspirò il misterioso liquido e glielo iniettò in una vena del braccio. Prese un lungo respiro e si accinse a fere lo stesso con Sheena.

Charles Logan sentì un improvviso, fortissimo mal di testa. Non sapeva dove si trovasse, chi fosse, non vedeva nulla. Poi la nebbia si diradò, come una cataratta che svanisce all’improvviso, e vide i suoi dischi sparsi sul pavimento, le sue cose, mezze fracassate. La testa gli divenne di colpo da pesante a leggera, fin troppo leggera, come se fosse in stato di ubriachezza, o sotto l’effetto di qualche droga. Infine si sentì forte, fortissimo e affamato. Come in una visione gli attraversarono la mente flash di immagini da macelleria: vitelli sgozzati, mucche appese al gancio, grondanti sangue. S’alzò passandosi la lingua sul labbro e deglutendo per mandar giù la sovrabbondante saliva che aveva preso a secernere. Senza esitare oltre si avventò sul primo essere in movimento che vide, portando avanti le mani e i denti, strappando i vestiti per trovare la carne, agendo con furia forsennata, mordendo con voracissima brama. Aldo di tutto s’aspettava, tranne che Logan potesse rinvenire ed aggredirlo a morsi. Era in ginocchio sul letto e stava iniettando il liquido a Sheena quando, sentendosi toccar la spalla, diede un balzo e si voltò col cuore in gola. Si trovò faccia a faccia con un uomo che pareva essersi trasformato in belva, che mostrava i denti ma, suo malgrado, non certo per sorridere, che spalancava la bocca tanto che a spalancarla di più si sarebbe lacerato i muscoli e la pelle del volto… e che volto! Tumefatto e livido com’era per le bastonate che aveva ricevute da Filtro… Filtro… Al pensare al nome di Filtro, mentre forse il redivivo Logan gli stava già strappando le carni a morsi, ad Aldo vennero in mente le parole di Cobra, giù al covo: “Se ha fatto bene il suo lavoro” aveva detto il negro “dovresti trovare due cadaveri”. E che cadavere non fosse Logan, almeno fino a due minuti prima? La vista del proprio sangue, il vederlo saltar fuori a fiotti e zampilli, gli diede la forza di provare a reagire; estrasse la siringa dal braccio di Sheena, alla quale aveva già iniettato metà della dose, e la brandì verso Logan, per infilzarlo. Gli piantò l’ago nel costato ma lui non fece una piega, si tolse invece la siringa di dosso e l’affondò nel petto di Aldo centrando lo spazio tra una costola e l’altra ed iniettandogli quel che rimaneva del liquido. Aldo emise un urlo straziato mentre un ventricolo gli esplodeva in corpo ed il calore l’abbandonava. Logan ne avrebbe fatto scempio, l’avrebbe spolpato fino all’ossa e avrebbe sgranocchiato anche quelle, a guisa di cane randagio, se non si fosse accorto che, nel frattempo, era resuscitata anche Sheena. La vide che mordeva una gamba di Aldo ed il suo primo istinto, proprio come fosse il cane affamato che ho detto, fu di cacciarla lontano dal suo pasto, ringhiandole contro incattivito. Ma un altro istinto, altrettanto animale ma meno violento, si risvegliò in lui alla vista della bocca di Sheena, del sangue che dalle sue labbra colava caldo ed appetibile lungo il suo collo color caffè-latte, sulle sue prosperose, femminee mammelle, ed alla vista del suo sguardo da pantera. Lei alzò gli occhi e gli trafisse il cuore, o quel che ne restava, con gli occhi. S’avventarono l’un sull’altra, si avvinghiarono lei su di lui, lui con lei, si diedero dei baci sanguigni, si esplorarono, si frugarono, si persero in un oceano di sensazioni lussuriose e lascive.